di e con Paola Fresa
in collaborazione con Christian Di Domenico
supervisione registica Emiliano Bronzino
Scene e costumi Federica Parolini
luci Paolo Casati
regista assistente Ornella Matranga
Produzione Accademia Perduta/Romagna Teatri, Fondazione TRG Torino
in collaborazione con Officina Corvetto Festival, KanterSTrasse, Dialoghi_Residenze della arti performative a Villa Manin – a cura del CSS Teatro stabile d'innovazione FVG
Nell'ambito di COLPI DI SCENA – Sguardo sul contemporaneo 2023
visto nel Ridotto Teatro Goldoni a Bagnacavallo (RA), 27 settembre 2023
Una drammaturgia dentro la quale il 'femminile' non parla dalla o della superficie del presente, che non nega anzi cui dichiara, linguisticamente ed esplicitamente, di appartenere, ma di e da quel tanto di 'persistente' della propria cognizione di sé che ha oltrepassato la Storia senza farsene, nonostante tutto, travolgere, anzi continuando ad esserne intimo motore, facendo e disfacendo dentro di Essa, come una tela, la propria personale storia. Maria Dolores Pesce
Un fare e disfare una trama di tessuto come un fare e disfare il tessuto della propria relazione con il maschile, non in quanto essendo sottomessa, come da secoli si è cercato e si cerca di imporre, al suo 'principio', ma in quanto capace, dando senso rinnovato a sé stessa, di dare senso al di lui fare e disfare la vita.
Il Mito, dunque, quale si legge sotto la condizione dell'oggi, nel quale i ritmi e le oscillazioni del tramandato e antico racconto, in una sorta di 'tragico' intelligentemente riletto e tradotto in ironia spesso capace addirittura di un sorriso, sono come il metronomo che cerca una armonia, trovandola forse anche in ciò che talvolta appare oppositivo e discordante, ma solamente perché non ancora 'accordato'.
P è imprigionata dentro questo oggi e in questo luogo metaforico e dunque mitico, in cui lo spazio/tempo si sovrappone defomandosi e illuminandosi di senso, vive il trauma, esistenziale e meta-esistenziale, dell'inciampo scandaloso, della frattura che però, pur dolorosamente, è anche ciò che consente, presupponendola, la relazione, nel ritorno sempre atteso, ma quasi mai sperato, che dovrebbe seguire al distacco.
Una donna che è figlia di un padre che forse voleva ucciderla, moglie di un marito che è partito senza preavviso facendo perdere le sue tracce e infine madre di un figlio, cui con ostinazione consegna l'illusione di un interesse paterno che non c'è, e che sceglie anche lui di partire in una coazione a ripetere che metaforizza l'instabilità dell'uomo, ieri come oggi, ancor più evidente di fronte alla persistenza, creativa e generativa, che il femminile coltiva in ogni suo, anche drammatico, anche rivoluzionario, mutamento.
P, con il suo specchio Penelope, è sola in questa tela di ragno tessuta dalla Storia che la imprigiona come un insetto impaurito, eppure non rinuncia al proprio sentire, sentimentale e affettivo, che può prima o poi dare forma alla Felicità.
Una scrittura, quella di Paola Fresa, che non esiterei a definire 'romantica', di quel romanticismo che cerca sotto la scorza dura del reale la forza di una Umanità che ha avuto in dono affettività e sentimento, anche se sempre più spesso, in questo mondo di economia e rapporti diseguali in ogni suo angolo, non ne fa uso o ne fa un uso distorto.
Un dentro che non può che essere anche il fuori, pena la perdita di sé, un dentro che il femminile ha difeso e può restituire al maschio lontano, soprattutto da sé stesso, e ridotto in fondo ad essere un semplice 'ruolo', spesso anche mal recitato, come i mille e uno anonimi 'Proci' che affollano mille e una discoteche.
Restituire a lui e a tutti, oltre ogni genere consolidato o irrigidito.
Paola Fresa è anche l'interprete in scena di questa sua scrittura, di cui cura la regia collaborata da Christian Di Domenico ed Emiliano Bronzino, una scrittura che sembra una parte di sé messa provvisoriamente fuori per essere riconquistata sul palcoscenico, ove forse la ricostruzione è possibile e la tela può essere finalmente finita.
Dimostra qualità sia come drammaturga e metteuse en scène che come interprete, sapendo trasformare un monologo nel vuoto dell'assenza in un dialogo continuo con le presenze che richiama infaticabile sul palcoscenico.