di Luigi Pirandello
con Leo Gullotta, Martino Duane, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Marta Richeldi
e con Antonio Fermi, Federico Mancini, Vincenzo Versari
scene e costumi: Luigi Perego
musiche: Germano Mazzocchetti
luci: Valerio Tiberi
regia: Fabio Grossi
Roma, Teatro Eliseo, dal 14 ottobre al 9 novembre 2008
La commedia fu rappresentata per la prima volta al Teatro Carignano di Torino il 27 novembre 1917 dalla Compagnia di Ruggero Ruggeri.
Nell’attuale ripresa al Teatro Eliseo il regista Fabio Grossi ha subito posto all’attenzione del pubblico una struttura di cristallo eretta sulla piattaforma rotante del palcoscenico e che ha il compito di incorniciare l’essenza stessa del perbenismo borghese – preso decisamente di mira l’autore Pirandello. Al centro della vicenda v’è il personaggio di Angelo Baldovino – ovviamente Leo Gullotta – nobile decaduto e in cattive acque finanziarie, che accetta di sposare la giovane amante incinta del marchese Fabio Colli, per salvarne l’onorabilità – essendo questi impossibilitato ad assumere la paternità del nascituro da un precedente matrimonio. Angelo Baldovino entra nel ruolo di marito e padre, esigendo al massimo l’osservanza delle regole, fino ad ostacolare e mettere in crisi il rapporto tra il Colli e la giovane amante. A sua volta il marchese cerca di liberarsi di Baldovino facendolo apparire malversatore nei riguardi dell’amministrazione dei beni di sua proprietà. Alla fine l’onestà viene premiata e la giovane madre – vinta dalla fermezza di Baldovino – assumerà in concreto il ruolo di moglie, in precedenza artificialmente inventato per salvare le convenzioni borghesi.
Il costumista Luigi Perego ha conferito un prestigioso decoro alla commedia vestendo protagonisti e comprimari di seriosi abiti scuri d’epoca, in alternanza con vistosi completi bianchi rifiniti nei minimi particolari. Dal suo canto il regista Fabio Grossi ha messo in scena provocatoriamente un quadro da foto ricordo, riunendo nella struttura di cristallo l’intero gruppo dei protagonisti – compreso il piccolo ormai nato e la immancabile balia dalla robusta complessione. Una festa degli occhi che la regia ha montato con cura avvalendosi presumibilmente dell’esperta in pantomima Monica Codena.
Leo Gullotta ha disegnato al meglio il personaggio di Angelo Baldovino, ben coadiuvato dal numeroso stuolo dei comprimari, tra i quali emerge per necessità del ruolo l’attore che impersona l’esagitato Colli: ma a buon diritto – perché Baldovino/Gullotta gli sta sottilmente portando via la giovane donna.
Luigi Perego, oltre agli eleganti costumi, ha realizzato una colorata scenografia con una natura fatta d’alberi di alto fusto che circonda il luminoso gazebo di cristallo: e se quest’ultimo è il luogo del perbenismo borghese, per ovvia contrapposizione gli alberi e il prato da cui emergono rappresentano l’onestà che permea l’animo di Baldovino.
Eccellente la regia di Fabio Grossi che – due anni fa – sempre associato a Leo Gullotta aveva messo in scena il Pirandello de L’uomo, la bestia, la virtù con ampie possibilità per il protagonista di manifestare tutta la gamma delle sue doti artistiche.
Fernando Bevilacqua
il "Piacere dell'onestà"
C'è da credere (dopo aver ricevuto in regalo da Leo Gullotta, all'Eliseo di Roma, un Pirandello di gran rango) che il teatro italiano, in tempo di vessazioni e di peste, si stia "vendicando" a colpi di bellezza. Sui palcoscenici romani, in questo inizio di stagione, abbiamo infatti spettacoli, ciascuno nella sua specificità, intenzionalmente tradizionali e di ottimo livello: dall'asciutta, severa Filumena di Luca De Filippo all'Argentina, allo Shakespeare dei giovani attori di Lavia all'India; dalla satira di Dario Fo al Valle, al Piacere dell'onestà di Gullotta, appunto, con regia di Fabio Grossi, nella sala maggiore di via Nazionale.
Il testo (consideriamolo del 1905: è di quell'anno la novella Tirocinio dalla quale la commedia, che anche troppo la cita e la conserva, fu tratta una dozzina d'anni più tardi) può definirsi verboso, iperargomentato, poco "recitabile". In realtà, si tratta forse di un copione cui serve il grimaldello capace di scardinarlo, di tradurlo in viva, vibrante evidenza teatrale. L'arnese da scasso, nel caso dell'allestimento dell'Eliseo, è proprio Gullotta, protagonista esemplare, nei panni di Angelo Baldovino, in un crescendo di lucidità, di titanica voglia d'imporre alla platea il sapore di una virtù difficile, l'onestà, ieri come oggi oltraggiata senza ritegno.
Il regista esalta, con ragione, il momento interpretativo (che Leo sorregge con bravura entusiasmante, vocale e gestuale) isolando il mondo conformista in una casetta trasparente, dentro il bosco dell'inconscio, regno della Natura e delle sue manifestazioni. Lascia così a Baldovino, persona eticamente disinvolta fino al momento di sposare una donna messa incinta dall'ammogliato marchese Colli, la possibilità di esplodere nella selva come l'uragano, cioè "naturalmente". L'ometto, accettando di farsi garante dell'Onestà, esplode fra gli ipocriti e i maneggioni al pari della tempesta, li tortura, li incalza con la furia e l'acribìa dei neofiti. E mentre essi faticano a camminare sul tappeto erboso, come respinti dal ferro rovente della probità, esperisce fino in fondo quel valore disatteso, ricevendone lavacro spirituale, rispetto, prospettive di futuro. Nel cast anche Martino Duane, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Marta Richeldi, tutti a posto. Da non perdere. Fino al 9 novembre.
Rita Sala