Testo e messa in scena di Simone Corso
Dramaturg: Jovana Malinaric
Interpreti: Simone Cammarata, Carmelo Crisafulli, Paola Francesca Frasca
Produzione: Nutrimenti Terrestre di Maurizio Puglisi
Teatro Annibale Maria di Francia di Messina 6 novembre 2022
Sembra il titolo di un’opera di Calvino, ma anche d’un labirintico racconto di Borges quello che Simone Corso ha impresso al suo testo teatrale Quando le porte delle case resteranno di novo aperte, mettendolo lui stesso in scena nel Teatro Annibale Maria di Francia di Messina. Sembra pure una di quelle esclamazioni di persone anziane che hanno nostalgia del ventennio fascista al tempo in cui le case potevano restare allegramente aperte perché tanto all’interno non c’era nulla da rubare. Mica è come oggi dove male che vada i ladri possono impossessarsi di svariati elettrodomestici compresi alcuni PC, macchine fotografiche, smartphone e tablet d’ogni tipo. Spettacolo strano, curioso, tutto rivolto a ciò che il mondo sta vivendo oggi in una diffusa multimedialità, diverso invero dalle precedenti pièces d’impegno civile come Acquaviola n.1 (che in maniera velata era una sorta di j’accuse nei confronti d’un impianto petrolchimico ricadente nella zona di Milazzo) o Vina fausa (sulla morte del giovane nefrologo Attilio Manca di Barcellona Pozzo di Gotto in cui pare c’entri lo zampino del capomafia Bernardo Provenzano) senza dimenticare Lo scoglio del mannaro e 82 pietre ruotanti attorno a leggende e fatti soprannaturali accaduti in Sicilia. Nonostante la pandemia Simone Corso ha continuato a scrivere e l’anno scorso si è aggiudicato con Bestie incredule il Premio Mezz’ore d’autore indetto dal Teatro Due di Parma dove è andato in scena con la sua stessa regia. Adesso è la volta di questo spettacolo da titolo lungo che vede su una scena nuda due ragazzi e una fanciulla (Simone Cammarata, Carmelo Crisafulli, Paola Francesca Frasca), in short e maglietta nera, che già prima dello spettacolo giochicchiano lanciandosi vicendevolmente una palletta. I due maschietti spesso scendono in sala, quasi provocano gli spettatori, indossano poi delle maschere da vecchie streghe come si fa a carnevale e la pesantezza di ciò che dicono contrasta con la leggerezza dei loro corpi in movimento. C’è un pazzo che non si vede in scena ma di cui si ode la voce sproloquiare su un passato più felice di oggi, quando le case erano aperte e si viveva con poco, a differenza di oggi in cui si vive in palazzi tutti uguali e in appartamenti anonimi dove non si conosce neppure chi ti sta accanto. Le porte si chiusero e il Paese s’ammalò. Pare che Corso voglia dire che con l’avvento dei Tablet dei social, degli smartphone, della multimedialità tout court, sia cambiato il mondo e le varie piattaforme a cominciare da Google e continuando con Facebook Instagram, TikTok etc…abbiano sostituito la comunicazione verbale e lo stare insieme. I ragazzi chattano con i loro cellulari anche a pochi metri di distanza uno dall’altro. Questo succede. Diventando ognuno un mostro che voglia mettere in mostra il suo io, altrimenti è come se non esistesse. Allo stesso modo come quando in passato un fatto non pubblicato su un giornale era come se non fosse mai accaduto. Apparire. Questo il verbo imperante. Questo conta oggi. Se non appari non esisti. Appaio dunque sono sostituisce il cartesiano cogito ergo sum. Ad un tratto su uno schermo appare un viso anonimo, forse lo stesso folle di prima che fa esclamare ad uno dei due ragazzi: «Ve lo ricordate Antonio Cosimo Stano? Ve lo ricordate? Chi è, non ve lo ricordate? Quello che s’è chiuso in casa, a Manduria, in Puglia, perché dei ragazzini lo filmavano mentre lo prendevano a calci sugli stinchi e poi c’è un morto perché non ha mangiato per quindici giorni?». Belli in chiusura alcuni versi del testo che sintetizzo così: «Quando le porte delle case resteranno di nuovo aperte ci sarà il sole…pioverà una pioggia torrenziale…saremo al mare…soffierà il vento…staremo passeggiando…avremo appena scritto una poesia…ci ricorderemo di questo teatro, di Antonio, di quei giovani e di questo esatto momento in cui qualcosa, chissà cosa, avrà fatto sì che le porte delle case rimanessero di nuovo aperte». I tre ragazzi infine seduti sul proscenio provocano il pubblico, lo invitano a dibattere e intervenire, ma a differenza di Fabio Traversa in quel primo film del 1976 di Nanni Moretti titolato Io sono autarchico che vedeva gli spettatori dileguarsi e guadagnare l’uscita, qui sono rimasti seduti sino al termine.
Gigi Giacobbe