tratto dal film omonimo di Eric Toledano e Olivier Nakache
adattamento Alberto Ferrari
con Paolo Ruffini, Massimo Ghini
scene Roberto Crea
costumi Stefano Giovani
disegno luci Pietro Sperduti
video Robin Studio
regia Alberto Ferrari
produzione Enfiteatro
teatro Comunale, Vicenza, 4 e 5 febbraio 2023
“Poesia, sembra che non ci sia”, recitava una canzone di qualche anno fa scritta e interpretata da un grande della musica italiana, Riccardo Cocciante. Lì, però, la poesia c’era, eccome, a differenza di questo spettacolo che nemmeno la sfiora, ed è un peccato, vista l’occasione che si aveva. Manca l’anima. “Quasi amici” racconta il lento progredire di un’amicizia che nasce tra due persone che più lontane non potrebbero essere, di indole, cultura, stato sociale, amalgama che si crea grazie all’occasione di lavoro che Filippo, tetraplegico, offre a Driss, scapestrato simil giovane dalla vita un po’ borderline, magari non proprio per causa totale sua, a dire il vero. I due, frequentandosi non poco, trovano un grande affiatamento rispettoso e continuo, e intorno a loro girano personaggi che rimangono ai bordi della storia: il giardiniere, Magda, Yvonne, la sorella di Driss eccetera. Un grande schermo certifica all’inizio della storia come Filippo si sia ridotto così, schermo che serve anche a cambiare le ambientazioni della storia, in un divenire abbastanza nervoso di luci, reti che calano e si alzano, dove coesistono fisse due salitine (simboliche?). Driss fa pervenire a Filippo nuove ritrovate sensazioni, ormai considerate perdute, come il ritornare a sfrecciare in auto o il rilanciarsi col parapendio, lo spinge genuinamente a confrontarsi con una dama che potrebbe entrare nella sua vita, se solo si sforzasse di più. Come nel film magicamente accadono delle cose, speranzose, inaspettate. In questo senso la commedia adattata da Alberto Ferrari sta dentro al film e non fa una piega, e lo scorrere dei minuti conferma questa direzione, nonostante, lo sappiamo bene, ci siano delle pellicole che a fatica possono essere adattate per il teatro, e qualche volta anche viceversa. Detto che i due attori principali sono seguiti e apprezzati dal pubblico, con Massimo Ghini che addirittura incarna a mio parere uno degli attori più interessanti della sua generazione, con ottime prove alle spalle e una solida formazione, vien da chiedersi se non bisognava curare con un po’ più di attenzione il tutto. Non basta infatti affidarsi alle struggenti musiche, come non basta certo affidarsi a un continuo, a volte anche irritante uso delle luci e dei video per movimentare la scena. Non basta nemmeno affrontare le psicologie particolarmente sensibili dei personaggi se alle spalle l’adattamento prende una strada che è quella più contemporanea che mai del linguaggio sciolto e banale, che va dalla “Miss Bonomelli” se si usa troppa camomilla al ripetuto più volte marcatamente “stia fermo” a uno che è in sedia a rotelle, a qualche intercalare in lingua toscana di cui Ruffini fa pieno uso. Il Driss proprio di Paolo Ruffini, è ciondolante, simil giovane, appunto, in sneakers e giubbotto e non si discosta per nulla dai suoi personaggi comici, non azzarda un filino in più, non si umanizza come dovrebbe. Massimo Ghini, dal canto suo, rimane impettito come il personaggio del film, è anche più bravo ma nel complesso lo si trova in un contesto abbastanza imbarazzante, soprattutto se si confronta a certi suoi personaggi interpretati (uno su tutti, il Sandro di “A casa tutti bene” di Gabriele Muccino). Tutto è come in una bolla di sapone, misterioso. Gli altri interpreti, se si eccettua Leonardo Ghini che si muove con sicurezza, rimangono prigionieri del loro stereotipo a volte troppo gridato, esasperato. Certamente qualcuno degli spettatori ritrova se stesso, come in ogni spettacolo. Il pubblico risponde ma, almeno alla replica vista, è un po’ perplesso e si nota. Probabilmente con le settimane la recita si conforma, rimane l’impressione di aver sprecato un’occasione, comunque.
Francesco Bettin