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Per saggiare effettivamente la bravura di un attore, bisogna vederlo recitare in teatro. La gestione di un palcoscenico; il rapporto con il pubblico senza mediazioni; intercettare un ritmo, saperlo portare avanti pur con tutte le variazioni che lo spettacolo richiede nel suo svolgimento: qualità che non sono innate, che richiedono capacità tecniche e non solo talento. A monte di tutto ciò, bisogna dire che Pierpaolo Spollon è veramente un attore molto bravo.

Il suo primo spettacolo, Quel che provo dir non so, scritto a quattro mani con Matteo Monforte e che ha debuttato al teatro D’Annunzio di Latina – dopo un’anteprima estiva al teatro di Tor Bella Monaca – è stato davvero delizioso e molto divertente. 

Tecnicamente lo si potrebbe definire una stand-up comedy. Ma si tratta di una definizione imprecisa. O meglio: incompleta al punto da non rendere giustizia. Perché Spollon non intende semplicemente fare dell’ironia sul tema delle emozioni, su come nascono e ci accompagnano per tutta la vita, su come impariamo a nominarle e riconoscerle per non doverle patire in modi tutt’altro che felici. Con l’ironia con la quale il pubblico lo sta imparando a conoscere, il giovane e talentuoso attore ha voluto raccontare, usando il fil rouge della sua emotività, il tratto di vita intima, parallela a quella artistica, che da sempre lo accompagna. Nel far questo non ha messo in scena – attraverso la narrazione – un personaggio verosimile vagamente somigliante al vero Pierpaolo Spollon. Al contrario, ha raccontato di sé senza sovrastrutture e tenendo il più possibile distante ogni tipo di filtro.

Si dirà: l’ironia non è un filtro? No se non è utilizzata per dissimulare ciò che si è. In Quel che provo dir non so, l’umorismo non diviene mai maschera, ma è un punto di osservazione – a mio avviso il più privilegiato e nobile e il più difficile da usare – dal quale osservare il rapporto che si intrattiene con il proprio passato, con i traumi piccoli e grandi, con le ferite, con i dubbi, con le speranze.

In termini recitativi, Spollon ha dimostrato una buonissima e genuina padronanza del palcoscenico. La gesticolazione è stata misurata ed eloquente, mai fuori luogo. La ritmica delle battute: molto precisa e adeguata al genere di umorismo. Lodevole è stato anche l’uso della voce, perché non ha praticato – tranne quando strettamente necessario: l’episodio del figlio che non voleva dormire e si ostinava a piangere con forza – uno stile quasi sussurrato, tipico d’una recitazione cinematografica oggi eccessivamente in voga.

Spollon ha saputo mettere bene a frutto ciò che fino a questo punto della sua carriera ha imparato, tecnicamente, in termini recitativi. Quel che provo dir non so è stata una felice dimostrazione di questo, oltre che della sua simpatia e della sua intelligente sensibilità.

Se chi ben comincia è a metà dell’opera, c’è da dire che in futuro le nostre scene avranno un nuovo grande Mattatore da applaudire per bravura e talento. 

Si chiamerà: Pierpaolo Spollon. 

Pierluigi Pietricola