di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale
e Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò
Verdiana Costanzo, Roberta Crivelli
, Flavio Francucci,
Francesco Giordano,
Lorenzo Grilli, Michele Lisi
, Pietro Masotti/Laurence Mazzoni
Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Silvia Pernarella,
Elena Polic Greco, Francesco Santagada,
Stefano Scialanga,
Josafat Vagni, Andrea Volpetti
foto di Achille Lepera
Produzione Teatro di Roma - Teatro Nazionale
Teatro Argentina, dal 15 al 27 ottobre 2019
Nella società dello spettacolo – dove viviamo senza più avvedercene –, se non fosse stato così brutalmente assassinato Pier Paolo Pasolini verrebbe ancora ricordato? Va da sé che questa è una provocazione: i versi de Le ceneri di Gramsci sono una gemma della poesia italiana. Ma si può dire lo stesso anche delle Lettere luterane o di Ragazzi di vita (quest'ultimo in scena all'Argentina nella riduzione di Emanuele Trevi e per la regia di Massimo Popolizio)?
Lo spettacolo, per la verità, è una lettura teatralizzata. Del romanzo di Pasolini, con gli opportuni tagli, sono state recitate la parti salienti e gli attori han dato l'impressione di promanare direttamente dalle parole piuttosto che dominare queste ultime come da prassi scenica. A dare anima e corpo al narratore che tesse le fila dei vari racconti è stato Lino Guanciale, che grazie ad una recitazione molto fisica e non esageratamente spirituale è riuscito a conferire ariosità, spazialità e luce ad un tessuto narrativo le cui atmosfere sono soffocanti, stagnanti, ai limiti dello squallido per via dei fatti narrati e descritti nel libro.
Caratteristica che si riscontra in tutti gli interpreti che, pian piano, hanno popolato il palcoscenico: i ragazzi di vita, per l'appunto. Giovani baldanzosi e senza scrupoli, pronti a vendersi per poche lire pur di intascare qualche misero quattrino; del tutto indifferenti alla morte; insensibili nell'uccidere chi non rispetta alcune regole di un vivere tipico delle periferie, dove la legge e lo Stato faticano a entrare nel tessuto sociale e a dare un virtuoso esempio; gioventù che ha padri e madri che non impartiscono ai figli un'educazione, i quali si ritrovano in balia di facili tentazioni che, il più delle volte, si trasformano in atti di delinquenza estrema.
Il merito della regia di Popolizio consiste nell'aver saputo osservare da lontano la realtà che Pasolini dipinge. Se nel leggere Ragazzi di vita si respira un'aria pesante, fatta di inquinamento e sguardi torbidi pieni di intenzioni malevole, sulle scene tutto questo assume gli aspetti di qualcosa di lontano, distante nel tempo. Complice dell'effetto: la recitazione straniata (di Guanciale come di tutti gli attori) di stampo brechtiano (ormai un classico che poco ha d'innovativo ma che comunque funziona e colpisce), ed elementi scenografici essenziali e mobili che rammentano lo stile registico di Ronconi.
Questi Ragazzi di vita teatrali suggeriscono una sensazione di distanza dall'oggi anche per un'altra ragione: tanto Trevi quanto Popolizio non sono riusciti ad emanciparsi dalla consustanzialità storica pasoliniana. In che modo i giovani della periferia romana di quarant'anni fa possono essere metafora di quelli che vivono oggi in quei medesimi luoghi?
Domande alle quali la riduzione drammaturgica di Trevi non risponde, e men che meno la regia di Popolizio. Elementi che fanno di Ragazzi di vita uno spettacolo puramente evocativo, ben recitato, ma che al nostro presente guarda con eccessiva lontananza.
Pierluigi Pietricola