da William Shakespeare
adattamento Armin Szabò-Szekély
con Paolo Pierobon, Elisabetta Mazzullo, Jacopo Venturiero, Francesco Bolo Rossini, Stefano Guerrieri,
Lisa Lendaro, Matteo Alì, Nicola Pannalli, Manuela Kustermann, Marta Pizzigallo,
Alberto Boubakar Malanchino, Nicola Lorusso
e in video, Alessandro Bonardo e Tommaso Labis
scene Botond Devich
costumi Dòra Pattantyus
suono Claudio Tortorici
luci Pasquale Mari
video Vince Varga
regia Kriszta Szekély
produzione Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT-Teatro Nazionale
Padova, teatro Verdi, 10, 11, 12, 13, 14 maggio 2023
Il mito del cinico e violento Riccardo III, affidato all’interpretazione dell’ottimo Paolo Pierobon, grintosissimo e trasformista come sempre, torna in questa visionaria messa in scena di Kriszta Székely, giovane regista ungherese di grande talento, che giostra con abilità la dimensione accusatoria continua del re a sfavore di chi lo circonda. Mania che non risparmia quasi nessuno nel suo disegno annientatore, mirante a fare del potere la sua massima aspirazione, va naturalmente a braccetto con denaro e amor proprio all’ennesima potenza. Attraverso le falsità continue Riccardo cancella dalla sua vita, nel mentre denigrandoli, fratelli e amici, sudditi e servi in una voglia unica, un cammino solitario benchè circondato da complici, che a loro volta però, ecco il gioco del potere infinito cercato e voluto, li colpirà. Come colpirà se stesso, alla fine, in una velocissimo percorso che termina la fine dei suoi giorni. E’ un personaggio che affascina, Riccardo, disegnato da Shakespeare deformato, e qui menomato, che nell’adattamento di Armin Szabò-Szekély si muove tronfio di cattiveria in un contesto modernista, dove ognuno cerca di salvarsi da sé e dagli altri. L’adattamento sul testo shakespeariano è di bellezza attraente e figurativa, che offre continui capovolgimenti situazionali mirati all’unica fonte perseguita, potere e potere ancora. Il contesto è quanto mai agghiacciante, certo come può esserlo quello del testo originale ma qui collocato senza ombre di sorta nei nostri anni, con le nostre folli e interminabili mostruosità contemporanee, piene zeppe di seguaci di ogni tipo, addolciti, inermi, con lo squallore che quando si prostra al potente di turno mostra tutta l’ambiguità e l’autocondanna, felici di darsela. Non finisce bene, la tragedia nel contemporaneo come nei secoli passati, rimane anche la parabola guerrafondaia, presente almeno nelle intenzioni, poi che sarà sarà, vien da dire. Curiosa e originale la visione della regista che ingrana la quarta da subito, mostrando il peggio della nostra epoca, come la manipolatoria azione che i mass media possono fare in qualunque istante, con i telegiornali e le breaking news, passando naturalmente per i raggiri verbali e culturali definiti informativi. I momenti di grande drammaturgia sono tanti, anche nelle sfumature si colgono, come ad esempio nel ballo laterale, dietro la vetrata di destra , la veranda della scena, un peccato che non tutti gli spettatori possano vederlo. Sono affaires di potere, appunto, quelli messi in mostra in questo chalet inquietante che odora di sangue e di morte, di sopraffazione (i sacchi neri di cadaveri che aumentano periodicamente segnano note drastiche, terribili). Al grido di Dio mi ha riempito di umiltà Riccardo regola tutto e tutti, accettanti o meno. Il cast è tutto di ottimo livello, si addentra nel dramma con responsabilità e bravura, da Manuela Kustermann all’attenta interpretazione di Elisabetta Mazzullo e Francesco Bolo Rossini, a Nicola Pannelli, Matteo Alì, Nicola Lorusso, e tutti i loro colleghi. La scenografia di Botond Devich è quanto mai di meglio si può immaginare, come il suono di percezione di Claudio Tortorici, e le luci di Pasquale Mari. Sopra tutti, e mi piace proprio citarlo in questo modo, un attore che è un vero fuoriclasse, superlativo, come Paolo Pierobon. A Padova la tragedia ha chiuso la stagione con un successo pieno, e moltissimi applausi.
Francesco Bettin