da William Shakespeare
adattamento Armin Szabò-Szekély
con Paolo Pierobon, Elisabetta Mazzullo, Jacopo Venturiero, Francesco Bolo Rossini, Stefano Guerrieri,
Lisa Lendaro, Matteo Alì, Nicola Pannalli, Manuela Kustermann, Marta Pizzigallo,
Alberto Boubakar Malanchino, Nicola Lorusso
e in video, Alessandro Bonardo e Tommaso Labis
scene Botond Devich
costumi Dòra Pattantyus
suono Claudio Tortorici
luci Pasquale Mari
video Vince Varga
regia Kriszta Szekély
produzione Teatro Stabile di Torino-Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Emilia Romagna Teatro ERT-Teatro Nazionale
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 16 al 21 maggio 2023
È un Riccardo III molto nostro contemporaneo quello firmato da Kriszta Székely in scena al Quirino. Un’attualizzazione che non sa di rabbercio moderno messo su una statua antica. Anzi: un distillato d’epoca che, ben conservato, ha mantenuto intatti gli aromi. E noi oggi possiamo gustarli in tutta la loro fragranza, la loro completa ambiguità. Perché Riccardo III, fra quelle di Shakespeare, è l’opera più controversa. Vero è che il protagonista è un mascalzone naturale, deforme, mal nato, con i cani che gli abbaiano addosso appena lo vedono. Ma anche chi lo circonda non è da meglio. Hanno solo un vantaggio, semmai: quello dell’ipocrisia, la maschera per tutte le stagioni che li tiene al riparo da ogni giudizio severo ma giusto. Almeno Riccardo è onesto nella sua crudeltà. Al punto che tutti sanno, tutti conoscono. Nessuno lo ferma al momento giusto. Perché? Forse per piccole convenienze? Forse per l’illusione di un grande tornaconto personale? Solo quando tutti sono consapevoli che il re è nudo – “Un cavallo! Il mio regno per un cavallo!” – allora gli si possono voltare le spalle, lasciarlo solo al suo destino, farlo uccidere pur di liberarsi d’un uomo che, in fin dei conti, non ha mantenuto le promesse fatte. Chi, veramente, ha ottenuto qualcosa nell’aiutarlo nella sua ascesa al potere? Nessuno. E allora che muoia pure!
Solitudine del potere. La sua piccineria. Le sue malefatte. Di tutto ciò, la Székely tiene conto. Ecco perché non disturba vedere sovrani e uomini di corte dell’Inghilterra del Quattrocento non solo in giacca camicia e cravatta, ma pronti ad usare smartphone, social, blog, collegamenti televisivi, calunnie mediatiche. E neppure ci stupisce vedere la sale del palazzo reale in moderni vani, arredati come architettura contemporanea d’interno detta. Così come le scene di raccordo che avvengono fuori dal palazzo, video registrati e recitati dagli stessi attori che vediamo sul palco, mostrati traverso uno schermo che funge da quarta parete.
Riccardo III (uno straordinario Paolo Pierobon) ha la mano paralizzata sempre in tasca, un ghigno perenne sul volto, la voce cruda. Quando la sua cattiveria sta per esplodere, inspira ed espira rapidamente, e lo sguardo si fa spietato, il tono dell’eloquio definitivo come una sentenza di cassazione. Edoardo (Francesco Bolo Rossini) è debole e sciocco, crede che tutto si risolva con il ben volere e la pace, una zuccherosa e irrealizzabile umana concordia. Cecilia (Manuela Kustermann) è una donna volitiva, disperata, e però sa rendere – brava, in questo, la Kustermann – tale ridda di sentimenti contraddittori in modo leggero ed ironico a tratti, così sottolineando l’ipocrisia e il velato egoismo che regna anche in questo personaggio, madre di Riccardo, che nulla fa per fermare le malefatte del figlio.
Un Riccardo III figlio del nostro tempo, al quale tanti altri seguiranno, siano essi maschi o femmine. Il grande meccanismo shakespeariano intuito da Jan Kott, pare dirci la Székely, non si fermerà mai.
Pierluigi Pietricola