da William Shakespeare
supervisione artistica di Antonio Latella
drammaturgia Linda Dalisi e Paolo Costantini
regia di Paolo Costantini
con Eva Cela, Fabiola Leone, Irene Mantova, Pietro Giannini, Riccardo Rampazzo, Daniele Valdemarin
scene Giuseppe Stellato
luci Simone De Angelis
costumi Graziella Pepe
sound design Riccardo Marsili
movimenti Sandro Maria Campagna
assistente alla regia Fabio Carta
Spoleto – Festival dei Due Mondi 2024
Teatrino delle 6 Luca Ronconi 12 - 13 luglio 2024
La morte delle ideologie, materialistiche e metafisiche, è stata determinata dalla riscoperta della centralità dell’individuo in quel processo che chiamiamo storia e che altro non è che il presente nei suoi tanti istanti trascorsi. Oggi più di ieri, le giovani generazioni cercano di riscoprirsi in termini esistenziali. Le domande che si pongono non hanno più quella tinta retorica di decenni fa, ma un’urgenza concreta di esistenza – e non più solo di semplice vita biologica e produttiva – e pretendono non solo di essere, ma di sentirsi riconosciuti, visti, compresi. Ci troviamo davanti, parafrasando un titolo di un bellissimo libro di Mario Perniola, alla presa di coscienza di un sex appeal dell’organico e dell’inorganico, un riconoscimento del Sé e di ciò che, attraverso di esso, viene creato e immesso nella società. Queste le istanze alla base della rilettura di Romeo e Giulietta di Shakespeare da parte di Linda Dalisi e Paolo Costantini, in scena al Festival dei Due Mondi nel suggestivo Teatrino delle 6. La storia d’amore dei due giovani ragazzi di Verona, figli di famiglie in guerra, diviene metafora non più solo di un sentimento puro che va al di là degli sciocchi conflitti intrapresi dai loro genitori e le loro propaggini, ma di un grido di ogni ragazzo di oggi che dice ai vecchi del nostro presente, uomini di potere o comuni mortali: “Basta con l’esclusività dei vostri interessi dei quali dovremmo farci carico. Noi esistiamo in un modo tutto nostro, e desideriamo un mondo che la finisca sempre con le guerre e le stesse dinamiche di sottomissione. Il mondo che desideriamo, lo vorremmo creare noi. Consigliateci, sì, ma fateci esprimere con libertà e serenità”. Questo Romeo e Giulietta è stato un attraversamento della poesia shakespeariana. Oltre agli aspetti performativi (l’andare avanti e indietro ad apertura spettacolo dei ragazzi, le martellate date su panche di legno a simboleggiare il conflitto dei Montecchi e dei Capuleti), i dettagli contemporanei (abiti moderni, la scena dell’amplesso fra Romeo e Giulietta completamente nudi, una voce fuori campo a interrompere la rappresentazione in modo pirandelliano, un Mercuzio interpretato da una donna: Irene Mantova): al di là di tutto questo che di originale, ormai, ha poco, ha colpito la sensazione di attraversamento delle parole di Shakespeare. E di rinascita. In che senso? Dopo aver assorbito e interpretato Romeo e Giulietta, cosa si può diventare? In che modo è possibile rinascere mutati? In altre parole: lasciatosi il vecchio mondo alle spalle, un giovane di oggi in che termini vuole esistere? Lo spettacolo non dà risposte. Perché è la ricerca continua, l’attribuzione di un senso da parte delle nuove generazioni ciò che conta davvero e ciò che esse, realmente, desiderano. Su tutti, ho molto apprezzato il Benvolio di Daniele Valdemarin: poetico e guascone, innocente e determinato. Così come mi è piaciuto il Romeo di Pietro Giannini: così candido, così ingenuo. Eppure così determinato ad esistere. Pierluigi Pietricola