studio a partire da Sette contro Tebe di Eschilo
scritto e diretto da Auretta Sterrantino
Musiche originali e il progetto audio di Vincenzo Quadarella
Assistente alla regia: Elena Zeta
Interpreti: Giulia Messina, Carlotta Maria Messina
Produzione: QA-QuasiAnonimaProduzioni e Nutrimenti Terrestri di Maurizio Puglisi, in collaborazione con l’EAR-Teatro Vittorio Emanuele
Sala Laudamo di Messina 28 e 29 novembre 2023
Con instancabile spirito maieutico Auretta Sterrantino ha messo in scena nella (rinnovata) Sala Laudamo Sette, un testo autonomo ispirato ai Sette contro Tebe di Eschilo, con l’apporto prezioso di Vincenzo Quadarella curatore di musiche originali e progetto audio, con la complicità e il supporto di Maurizio Puglisi, in sinergia con l’Università di Messina, l’Università di Malaga, l’Università di Coimbra e l’Università di Valencia, strutture coinvolte in un Convegno di tre giorni (29 e 30 Nov. a Messina, 1 dic. a Siracusa) titolato “Varcare la soglia” , incentrato su “Teatro, Rito e Festa tra passato e presente”. Per questo spettacolo, sul nuovo-nudo-abbassato-palcoscenico della Sala Laudamo, è stata annessa nella parte centrale un prolungamento, una sorta di isola, in modo che le due danzatrici-attrici, pure sorelle nella vita, Giulia Messina e Carlotta Maria Messina, potessero agire in una specie di ring quadrato, illuminato ai lati da lucette che cangiavano di colore a seconda dei momenti. È curioso come il litigio tra i due fratelli Eteocle e Polinice mi riporti subito ai conflitti di questi giorni tra i fratelli palestinesi e israeliani e pure quelli tra ucraini e russi che si combattono per un pezzo di terra, invece di sedersi ad un tavolo, smetterla di farsi la guerra e non creare ansia e paure in tutto il mondo. Per i due fratelli, figli Edipo, come da mitologia, esiste la maledizione di quest’ultimo espressa allorquando ad un banchetto, vista la sua cecità, gli servirono carne di coscia invece che carne di spalla, ricevendo in cambio la maledizione che sarebbero morti l’uno per mano dell’altro, anche se per Sofocle la maledizione di Edipo nasce dal fatto che non fu difeso abbastanza dai suoi due figli quando Creonte lo mandò in esilio. Esiste anche un accordo tra i due fratelli, descritto nell’Edipo a Colono, quando entrambi decidono di regnare a Tebe un anno ciascuno. Succede però che Eteocle, alla scadenza dell’anno, non lascia il trono e Polinice, che intanto aveva sposato Argia, figlia di Adrasto, re di Argo, utilizza l’esercito del suocero, compresi i famosi Sette Campioni per entrare in guerra contro il fratello. Una guerra che sarà oltremodo disastrosa per Polinice, decidendo di scontrarsi in duello, rimanendo uccisi entrambi dopo sette ore di combattimento, concretizzando così la maledizione di Edipo. Seguiranno altri lavori, come l’Antigone di Sofocle, dove Eteocle avrà sacra sepoltura rispetto a quella di Polinice che per volere di Creonte dovrà restare insepolto e dissolversi sulla sabbia, Da queste storie la Sterrantino ha ri-scritto un suo testo poetico in cui mette in risalto la hybris dei due contendenti, la tracotanza dei due fratelli, mostrando gli aspetti più controversi della loro relazione dagli esiti paradigmatici. Sembra tornare all’Antico Testamento dove Caino uccide Abele senza alcuna remissione, passare il testimone a Eteocle e Polinice che non cederanno d’un solo passo riguardo la loro decisione d’ammazzarsi reciprocamente. Abbiamo così nessun vinto o vincitore. Hanno perso entrambi. Non c’è alcuna possibilità di pace. I Sette contro Tebe sono “un dramma pieno di Ares” secondo la bella definizione di Gorgia da Lentini. Ares anima la tragedia dalla prima all’ultima scena. Ognuno si sente d’avere ragione al punto di sacrificare affetti, patria e ogni cosa. E questi sentimenti sono bene espressi dalle due brave e concentrate danzatrici, in perfetta sintonia con le musiche dai toni cupi che le avvolgevano nei loro continui movimenti di braccia e gambe, per cui ad una azione rispondeva una reazione, come si conviene nel teatro-danza, in grado pure di declamare in greco e pure in lingua alcune pari del testo, non restando mai per un solo secondo ferme durante i 75 minuti dello spettacolo applaudito e bene accolto dal pubblico della Sala Laudamo. Gigi Giacobbe