(Capitolo I Medea & Giasone; Capitolo II Medea & figli; Capitolo III Medea Dea)
regia: Antonio Latella
elaborazione drammaturgica: Federico Bellini
movimenti coreografici: Rosario Tedesco
con Nicole Kehberger, Michele Andrei, Giuseppe Lanino, Emilio Vacca
musiche di Franco Visioli
luci: Giogio Cervesi Ripa
produzione Teatro Stabile dell’Umbria, Totales Theatret Internacional, Festival delle Colline Torinesi, Parma, Lenz Teatro 2007
La Medea di Antonio Latella ha la forza del mito, ha l’assolutezza della parola poetica, l’impietoso procedere di un rito che è guerra fra i sessi, amore che soffoca e uccide, ascesa divina. Si rimane senza parole assistendo ai tre studi su Medea realizzati da Antonio Latella, uno spettacolo fuori dai canoni, che urta, mette a nudo non solo gli splendidi attori, ma anche lo spettatore, chiamato a partecipare a un rito antico, estremo e vero: quello dell’amore che non conosce limiti, ma anche l’innaturale riduzione logico/verbale delle relazioni istintuali a relazioni sociali. Con Medea il regista ha la consapevolezza forte e assoluta di voler andare all’origine del mito tragico che è anche voler andare alla sorgente della nascita della civiltà. Così nell’elencare le lettere/fonemi che compongono l’alfabeto greco si individua il bisogno razionale di dare al mondo un ordine diverso da quello dettato dall’istinto. Studio su Medea è una discesa nell’abisso, è ebbrezza dionisiaca, è territorio dove gli opposti si attraggono, dove l’amore materno coincide col massimo sacrificio che una madre può concepire: l’uccisione dei figli. Latella fa della parola tragica carne, sudore, bramosia, lotta e sopraffazione del maschile sul femminile e viceversa. Il primo studio Medea & Giasone vede contrapporsi con inaudita violenza l’Uomo e la Donna: Medea e Giasone entrano in scena tenendosi vicendevolmente i loro sessi, il loro gioco sponsale è violento, approccio istintivo, sopraffazione. Unico elemento scenico un letto di ferro – che ricorre nei due primi capitoli - che viene montato e smontato, macchina di tortura, casa e prigione, graticola e altare. E’ strepitosa Nicole Kehrberger tutta fisicità, una Medea rabbiosa, cagna vogliosa che dà alla luce i suo figli, oggetto d’amore e soggetto della passione. Lei che ha sacrificato tutto a Giasone sa essere amante e terribile furia, forte e determinata, quanto Giasone è volgarità maschile, virilità da caserma che contagia i figli, li mette contro la madre. Nel secondo capitolo Medea allatta i suoi figli come una cagna, e con lo stesso latte li ucciderà con amore di belva ferita, i due (Giuseppe Lanino ed Emilio vacca) sono maschi che non esitano a violentare e insultare la madre, a negarne l’identità, sedotti dall’autorità paterna. A questo punto ucciderli non è una scelta, ma la via obbligata alla salvezza di sé che porterà Medea a recuperare la propria natura di dea. Nel terzo studio si realizza l’epifania di Medea, acrobata sospesa, sul deserto di teste di un’umanità dal ghigno beffardo, in cui l’orrore del tragico è rappresentato dalla maschera di Giasone clown, inconsapevole sciocco trionfante allocco. Alla fine della lunga serata al Lenz Teatro in cui sono stati presentati di seguito i tre lavori si ha la netta sensazione che dopo la Medea di Latella sarà difficile credere ad altre letture del terribile mito della regina della Colchide.
Nicola Arrigoni