di Carlo Goldoni
regia Antonio Latella
con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni,
Francesco Manetti, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo, Valentino Villa
dramaturg Linda Dalisi
scene Annelisa Zaccheria
costumi Graziella Pepe
musiche e suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
assistente alla regia Marco Corsucci
assistente alla regia volontario Giammarco Pignatiello
produzione Teatro Stabile dell’Umbria
Milano – Teatro Strehler, Teatro Il Piccolo dal 20 febbraio al 3 marzo 2024
Com’è discinta, smorta, tendente al cupo questa Locandiera di Latella. Ci si aspettava un Goldoni più spensierato ma non ingenuo né sprovvisto di riflessioni sul nostro “oggi”; una Mirandolina brillante e spavalda, spudorata e divertente nella sua sfacciataggine. E invece! Dio mio come sono risultati fuori luogo quei toni così bassi, quelle intenzioni accennate e soffocate sul nascere, quella mimica così ridotta all’essenziale, poco teatrale e quasi tutta evocativa d’uno stile cinematografico che, con un palcoscenico, ha davvero poco da condividere. Antonio Latella non è nuovo a simili operazioni di modernizzazione ad ogni costo. Per altro essendo un regista che manca di spirito, di senso dell’ironia, d’un certo gusto per il giocoso e la leggerezza, Goldoni è per lui l’autore quanto più distante col quale confrontarsi. Decisione, la sua, che avrebbe portato a risultati d’un certo tipo se avesse rispettato la personalità del drammaturgo veneziano. Come? Sarebbe bastato ripescare un po’ dello stile fabulatorio e recitativo degli zanni, se non dei comici dell’Arte. Sarebbe stato sufficiente lasciare a briglia sciolta Mirandolina, farla essere un peperino, una donna consapevole dei suoi mezzi – intellettuali soprattutto. Ed invece ecco una Locandiera che occhieggia a un teatro epico di stampo brechtiano, stando almeno alle note di regia (“Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti”.). E però tutt’altro si è realizzato, a dispetto delle intenzioni del regista. Non è emerso assolutamente il contrasto fra classi, quanto una diatriba fra innamorati a prescindere dal loro censo. E poi quale distinzione di ceto possono fare conti, marchesi e cavalieri quando, invece di abiti sontuosi o che tali potevano lasciare intendere d’essere, indossano maglioni da neve, oppure calzoni da tuta, oppure un pigiama con tanto di ciabatte a infradito calzate a piede nudo? Per non parlare di Mirandolina: abbigliata con una veste bianca, corta e con le gambe in bella vista e a piedi nudi per buona parte di commedia (indosserà, in seguito, un paio di scarpe nere a tacco alto). Che dire poi della recitazione? Sonia Bergamasco, in genere bravissima e raffinata interprete, ha impersonato una Mirandolina pallida, triste e depressa, tutt’altro che vivace, lievemente isterica e dai toni dimessi. La Bergamasco ha dato l’impressione di dover trattenere il suo stile da interprete di grande personalità, di doverlo mettere da parte ad ogni costo. Tutto ciò per volontà del regista? Ludovico Fededegni ha impersonato un Cavaliere di Ripafratta altrettanto dimidiato nei mezzi espressivi (colpa del regista?), al punto che il contrasto con la locandiera non vi è mai stato. Tutto si è tradotto in un blando tentativo di corteggiamento. Un Goldoni, questo di Latella, ingiustamente impoverito. Pierluigi Pietricola