da Carlo Goldoni
drammaturgia di Ken Ponzio
regia di Antonio Latella
con Giovanni Franzosi, Elisabetta Valgoi, Annibale Pavone, Rosario Tedesco, Federica Fracassi, Marco Cacciola, Massimiliano Speziani, Lucia Peraza Rios, Roberto Latini
scene e costumi di Annelisa Zaccheria, luci di Robert John Resteghini, assistente alla regia Brunella Giolivo
produzione Ert, Teatro Metastasio, Teatro Stabile del Veneto
visto a Cremona, teatro Ponchielli, 28 gennaio 2014
Ma cos'è questo Arlecchino? O ancora meglio dov'è Arlecchino? Sono questi gli interrogativi che sollecita Il servitore di due padroni da Goldoni per la regia di Antonio Latella, con la drammaturgia di Ken Ponzio, uno spettacolo dicusso, che divide il pubblico, ma che è senza dubbio un lavoro carico di sapienza teatrale, di intelligenza, un atto d'amore nei confronti del teatro come spazio di verità possibili, come disvelamento della menzogna e – si dirà di più – come ultimo baluardo della democrazia. Nel Servitore di due padroni – nella riscrittura feroce e tesa di Ken Ponzio e nella regia di assoluto rigore di Antonio Latella – c'è la voglia di partire dalla tradizione, smontarla, spogliarla dei suoi orpelli, della sua natura stantia per ridarle la dinamicità che è insita nell'etimologia di 'tradizione': trasmettere, condurre attraverso. E' bastato l'aprirsi del sipario per capire che qualcosa non tornava nelle aspettative dei più: nessuna Venezia, nessuna locanda o piazza, piuttosto la hall di un hotel con Smeraldina (Lucia Peraza Rios) che tira l'aspirapolvere e Brighella nei panni del direttore dell'albergo, un bravissimo Massimiliano Speziani che legge le didascalie, fa da regista interno raffreddando l'azione, congelandola, commentandola e alla fin fine impedendo al pubblico di credere vero quell'intreccio amoroso, quel susseguirsi di travestimenti ed identità negate che è il testo di Goldoni, rivoluzionario a sua volta perché portava nero su bianco la tradizione della Commedia all'Improvviso. Il servitore di due padroni da Goldoni è una commedia che vira al grottesco, se non al dramma, è la storia di un omicidio, quello di Federigo Rasponi, di un camuffamento, quello di Beatrice, di una fuga, quella di Florindo, forse l'omicida di Federigo, di un possibile travestimento/resurrezione dello stesso Federigo nei panni di Arlecchino, che essendo maschera è fantasma, spirito, larva, inafferrabile. Non a caso il bellissimo Arlecchino di Roberto Latini è bianco, è somma di tutti i colori e nessun colore al tempo stesso. Tutte le coordinate, tutte le certezze goldoniane – mutuate da Strehler e dalla memoria teatrale – sono scardinate, disattese eppure in linea con una tradizione che viene rispettata, solo calata nella chiave contemporanea. E allora Florindo di Marco Cacciola è un elemento da Grande fratello con le mani sempre a brandire i genitali, la Beatrice di Federica Fracassi è uno spasso lesbico e ninfomane, con quei baffetti da finto uomo che fanno sorridere, Clarice di Elisabetta Valgoi è un'adorabile isterica in cerca di marito, Silvio di Rosario Tedesco è nel suo costume settecentesco il segno della tradizione, è la memoria di un teatro in costume e descrittivo, Pantalone de' Bisognosi di Giovanni Franzosi è emblema del padre borghese di tante comèdie bien faite e vaudeville, così come il dottor Lombardi di Annibale Pavone è un manager un po' improbabile. E Goldoni dov'è finito? C'è come simbolo del teatro, c'è come testo fondante – complice Moretti/Soleri/ Strehler – del teatro di regia della seconda metà del Novecento e per questo termine post quem ricominciare a ricercare un nostro Arlecchino. Il servitore di due padroni vive di una sua cesura interna. C'è il racconto della vicenda che è anche la presentazione e la messa in azione dei personaggi destinati a raccontarsi, sfiorarsi ma non incontrarsi, monadi solitarie, e c'è la parte in cui la finzione viene svelata, in cui il teatro si mostra nella sua natura effimera, menzognera eppure carica di verità. Antonio Latella con il Servitore di due padroni smonta la scatola teatrale e lo fa fare agli attori nella seconda parte dello spettacolo, in cui l'hall dell'hotel scompare pian piano, le porte delle stanze diventano pertugi che si aprono sul vuoto, Beatrice danza la sua disperazione e ricomincia la storia, invitata da Brighella regista interno ad un'azione che implode. E' in questo contesto che Arlecchino si mostra, incoraggiato a provare il lazzo della mosca che diviene prima una lezione su cosa sia la mosca, il suo derivare da larva che è fantasma come le maschere, come Arlecchino di bianco vestito. Poi i personaggi/attori a coro descrivono la partitura fisica del lazzo di Moretti e questa partitura diviene danza alla fin fine, omaggio a Grotovski e Pina Bausch con un Roberto Latini atleta del cuore, attore di nervi e spirito. Goldoni nostro contemporaneo? Viene da chiedersi alla fine. Sì, da Goldoni Latella è partito per mettere a punto, per continuare la sua ricerca sul teatro, sulla verità nascosta dietro le quinte, su un teatro non asservito, ma servitore delle emozioni e della verità. Il servitore di due padroni è uno spettacolo che cresce, ad ogni replica mostra una maturità e un'incisività straordinarie, grazie ad un gruppo di attori perfetti ed in aurea sintonia, grazie ad un'intelligenza del fare teatro che ha pochi eguali sulle scene italiane. Imperdibile.
Nicola Arrigoni