ispirato a Una specie di Alaska di Harold Pinter
Regia di Stefania Pecora
Interpreti: Chiara Trimarchi, Orazio Berenato, Stefania Pecora
Produzione: Teatro dei Naviganti
Magazzini del sale di Messina 4 e 5 marzo 2023
Fermatevi! Pensate per un attimo ad una ragazza di 14-15 anni che in una sera come tante s’addormenta e si risveglia quando ha 45 anni. Non riconoscendo il suo corpo, né quello di coloro che l’hanno accudita per tutto quel tempo. È l’assunto di ciò che accade in questa piccola e tosta pièce di Pinter, Una specie di Alaska (A Kind of Alaska) scritta nel 1982 andata in scena assieme ad altri pezzi il 14 ottobre dello stesso anno al National Theatre di Londra con la regia di Peter Hall, cui adesso si rifà Stefania Pecora, interpretando il ruolo di Pauline (sorella della miracolata Deborah di Chiara Trimarchi) mettendola in scena ai Magazzini del Sale di Messina col titolo di Temporanea dimora. Il lavoro, tratto dal libro Risvegli di Oliver Sacks, parla dell’encephalitis lethargica, un’epidemia che nel 1916 colpì gran parte del mondo e del farmaco L-Dopa che sembrava averla debellata ma che purtroppo si rivelò una soluzione transitoria. Il testo di Sacks colpì molto Pinter, al punto da indurlo a scrivere questo atto unico, a tratti commovente e angosciante, che descrive con grande lucidità lo stato mentale e fisico di Deborah che si risveglia dopo circa 30 anni di coma. All’inizio la donna vagola in sottana come un zombie, una sonnambula, una fuori di testa nel piccolo spazio del Teatro, con muro di mattoni alle spalle, quasi a contatto con gli spettatori con un vasetto di fiori in mano che depone su un lato. Il medico di famiglia Hornby, quello che Orazio Berenato veste con devozione e dedizione, l’assiste in tutti i suoi movimenti, dicendole che ha dormito per tanto tempo e se è in grado di riconoscerlo. La ragazza non ricorda nulla, chiede dove siano il padre, le sorelle, il cane, il suo ragazzo Jack e del perché la madre non l’abbia svegliata. Alle domande di Deborah se è morta o ha vissuto come una carcerata, Hornby la tranquillizza dicendole che ha solo dormito per 29 anni, che è stata regolarmente nutrita e portata a passeggio un paio di volte la settimana, giusto per farle muovere le gambe, ma che adesso dovrà riprendersi la sua vita stando tranquilla e a riposo, aggiungendo che è stato lui a svegliarla non con una bacchetta magica, ma con un’iniezione d’un farmaco scoperto da poco. La sorella Pauline è sempre stata in scena, ma è come se Deborah non s’accorgesse di lei, una figura invisibile che la veste infilandole un abito lungo e delle scarpe a spillo ai piedi che toglierà subito dopo, raccontandole della crociera intornio al mondo fatto dai familiari, chiedendole ad un tratto se la riconosce come sua sorella Pauline. Dopo prolungati sguardi Deborah le dice che la trova invecchiata, notando che le è cresciuto un seno enorme, chiedendosi come questo sia potuto succedere nel giro d’una notte. Non rendendosi evidentemente conto del suo status di salute e della vita che intanto è trascorsa, con Pauline diventata vedova, col padre diventato cieco e con la madre che è morta. Hornby le ribadisce che lei era come morta, addirittura volevano seppellirla, ma grazie a lui questo rito non è andato oltre e che il suo cervello non ha subito danni, rimanendo come sospeso, abitando un po’ in una specie di Alaska. Quando infine Deborah sembra rinfrancata e felice per la festa che si farà in suo onore per il suo compleanno e per i regali che riceverà da tutti i suoi amici e parenti, eccola ripiombare nuovamente nel suo inferno mentale, dandosi dei colpi sulle guance e sulla testa, non riuscendo più a vedere la luce per gli occhi che le si sono paralizzati e non avrà più voglia di guardarsi allo specchio. Bravi i tre protagonisti e brava Mariapia Rizzo che inserisce nei suoi programmi lavori come questo di Pinter che andrebbero più spesso fatti conoscere.
Gigi Giacobbe