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regia Glauco Mauri

UNA PURA FORMALITÀ - 
regia Glauco Mauri

"Una pura formalità" - regia Glauco Mauri "Una pura formalità" - regia Glauco Mauri

dall'omonimo film di Giuseppe Tornatore
versione teatrale e regia di Glauco Mauri
con Glauco Mauri, Roberto Sturno, Giuseppe Nitti, Paolo Benvenuto Vezzoso, Amedeo D'Amico e Marco Fiore
scene di Giuliano Spinelli, costumi di Irene Monti, musiche di Germano Mazzocchetti, luci di Gianni Grasso
produzione Compagnia Mauri/Sturno con la collaborazione del Teatro della Pergola di Firenze
al teatro Bellini di Casalbuttano (Cremona), 14 marzo 2015
Messina, Vittorio Emanuele di Messina dal 26 al 29 marzo 2015

www.Sipario.it, 27 marzo 2015
www.Sipario.it, 18 marzo 2015

Quando nel 1994 uscì il film Una pura formalità di Giuseppe Tornatore con un trio noto di attori (Polanski, Depardieu, Rubini) non fu accolto come meritava. Cervellotico, assurdo, kafkiano, surreale, metafisico, furono gli aggettivi sciorinati dai critici, mentre invece piacque agli estimatori del regista di Bagheria e ad una buona fetta di pubblico. E anche di recente a qualche teatrante navigato come Glauco Mauri che ne ha tratto una riduzione teatrale, curandone la regia e vestendo lui stesso i panni del commissario di polizia, mentre Roberto Sturno interpreta il ruolo dello scrittore Onoff, che sta riscuotendo lusinghieri consensi in tante piazze italiane compreso il nostro Teatro Vittorio Emanuele di Messina dove lo spettacolo è stato accolto con molti applausi e consensi. E tranne qualche sbadiglio nella parte centrale e qualche piccolo particolare qui omesso, chiaramente perché il-Teatro-è-il-Teatro e il-Cinema-è-il-Cinema - come opportunamente diceva Godard - la pièce s'allinea al plot filmico. C'è Sturno che in una notte di tregenda, scandita da pioggia tuoni fulmini e saette, viene trascinato da un gruppo di agenti in uno strano commissariato, nel cui stanzone in fuga dai colori grigi (scena di Giuliano Spinelli, costumi di Irene Monti e musiche di Germano Mazzocchetti), spicca un orologio appeso al muro senza lancette, i libri e i tomi delle due librerie non hanno stampati nomi e titoli sul dorso e il ticchettio d'una macchina da scrivere non è in grado d'imprime i caratteri sui fogli, e c'è dall'altro lato della scrivania Mauri che l'interroga per un'ora e mezza per sapere se chi ha di fronte è colpevole di un assassinio avvenuto la sera prima. L'atmosfera che si respira è quella d'un allucinato dramma notturno, quasi da letteratura nordica, giocato tutto sulla corda pazza del teatro dell'assurdo. In sostanza quello che si vede e s'ascolta non esiste, appartiene ad un mondo senza tempo nel quale si scoprirà che l'assassino di quel delitto è lo stesso Onoff che s'è suicidato, dunque un fantasma che un tempo era un trovatello di nome Biagio Febbraio e che suo maestro è stato un clochard del quale ha decifrato un libro scritto in codice che lo ha consacrato definitivamente. E' stato sposato due volte e la donna con cui ha trascorso le ultime ore è la seconda ex moglie, Paola. Il commissario gli mostra delle fotografie trovate nella sua casa e che lui cercava da tempo. Onoff vi riconosce volti e nomi della gioventù e infine ha la visione di se stesso che si spara. Accanto agli inossidabili Mauri e Sturno in grado sempre di lasciare il segno con una recitazione asciutta, efficace, senza sbavature, ruotano un quartetto di "poliziotti" raffigurati da Giuseppe Nitti, Amedeo D'Amico, Paolo Benvenuto Vezzoso, Marco Fiore.

Gigi Giacobbe

Uno strano commissariato, una pioggia persistente e l'arrivo improvviso di uno individuo, ferito e trafelato: si apre così Una pura formalità, riscrittura teatrale dell'omonimo film di Giuseppe Tornatore. Glauco Mauri e Roberto Sturno non temono le sfide e così il film più discusso di Tornatore è diventato una pièce in cui le atmosfere sospese e lo sciogliersi dello strano confronto fra lo scrittore Onoff (Roberto Sturno) e il commissario (Glauco Mauri) sono il cuore di un racconto teso, fatto di non detti, di allusioni a una realtà che sfugge e a una verità che non si fatica presto ad intuire. Perché quell'uomo è stato condotto al commissariato? Da cosa fuggiva? Perché ha perso le memoria? Sono questi alcuni degli interrogativi che pian piano permettono di ricostruire la storia di quello scrittore e il motivo per cui arriva in quello strano ufficio grigiastro in cui un orologio senza lancette scandisce un tempo che è sempre presente e per questo eterno e l'interrompersi della luce dà conto di improvvise illuminazioni che portano avanti la vicenda. La pura formalità del titolo è quella che impone ai collaboratori del commissario di registrare ogni nuovo venuto. Pian piano si avverte che quell'ufficio di polizia non è tale, che quella pura formalità ha poco a che fare con delitti, piuttosto interessa la vita stessa e il suo interrompersi più o meno repentino. Chi si presenta al commissariato è da poco morto, ma non ne è consapevole. Una pura formalità è il prendere coscienza di non essere più, dell'essere morti... Glauco Mauri e Roberto Sturno, affiancati da Giuseppe Nitti, Paolo Benvenuto Vezzoso, Amedeo D'Amico e Marco Fiore, costruiscono un allestimento di solida tradizione. Il racconto e la parola narrata sono elemento centrale di un fare teatro in cui l'esperienza della coppia Mauri/Sturno dà forma ed estetica a uno spettacolo che si scioglie nel compiersi e disvelarsi della vicenda fra gli applausi calorosi di una platea gremita.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Mercoledì, 01 Aprile 2015 10:06

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