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ZIO VANJA - regia Maurizio Panici

“Zio Vanja”, regia Maurizio Panici “Zio Vanja”, regia Maurizio Panici

di Anton Cechov
con Denis Dalla Palma, Valentina Iaroshyk, Fabrizio Bernar, Alessandra Signori, Francesca Scomparin,
Tobia Rizzato, Michela Dellai, Lidia Bordignon, Riccardo Cavallin
scene e costumi Maurizio Panici
luci Davide Stocchero
regia Maurizio Panici
produzione ATS Teatro di Comunità, Argot - Roma La Piccionaia, Vicenza, Teatris, Marostica
Marostica (Vicenza), Ridotto del Politeama 6, 7, 8 maggio 2022

www.Sipario.it, 10 maggio 2022

Ogni volta che si assiste a una rappresentazione di “Zio Vanja” del buon Anton Cechov si assiste a qualcosa che si può definire “un porto sicuro”, tale è la prosa che il grande autore ha scritto e che il tempo non scalfisce nemmeno un po’. I suoi personaggi, la stessa ambientazione non tradiscono, non succede certo nemmeno questa volta dove la regia di Maurizio Panici non lascia niente al caso, semmai rinforza l’azione, indica addirittura nuove vie e più sfumature sui personaggi, mostrando la passione per l’autore. Questo “Zio Vanja” colpisce perché è possente, non sfuggevole né superficiale, annienta la leggerezza fin da subito, quella che in certe occasioni si nota negli spettacoli, che è disattenzione, spesso poco amore. Il testo già di suo regala la modernità di più situazioni che nella storia e nel tempo cronologico si rincorrono, ripetendosi all’infinito, segno che l’uomo in fondo rimane sempre uguale nel suo vagare quotidiano. Intrecci, amori desiderati e invidie sono segnali che riguardano tutte le epoche e che non mutano di una virgola, incalzando i protagonisti tutti, cioè tutti noi stessi, di rimando, di continuo in un peregrinare che non lascia scampo. Vanja lavora nella tenuta che fu di sua sorella, defunta, ora intestata alla nipote Sonja, con grande dedizione ma mal sopporta le incursioni nella stessa del professor Serebrjakov, ex cognato e padre della ragazza. Nel frattempo quest’ultimo vive accanto a Helena, una giovane e avvenente donna, e dell’azienda agricola si sente padrone. Vanja già da tempo lo sopporta, avendolo dovuto sostenere anche economicamente mentre il professor compiva gli studi. La giovane e bella Elena riesce a incantare sia Vanja che il dottor Astrov, disincantato e malinconico curante del professore. Ma anche Sonja non manca di provare attrazione e amore verso il dottor Astrov che nemmeno la considera. Accanto a questi intrecci si muovono anche una balia, Anfisa, un fattore, Il’Ja Telegin, Marina, che in uno spostamento drammaturgico qui diventa la sorella di Vanja, e la madre sua e di Vanja, Mar’ja. Ognuno di loro prova a gestire al meglio le proprie ore, scevre comunque dai rancori del resto della famiglia, viste piuttosto con un po’ di saggezza e lucidità, talvolta rincuoranti. Vanja è il primo che si perde, che s’avvia nel tunnel depressivo, rabbioso che porta all’alcolismo diretto e lo fa impazzire. Tollerare soprusi non è il suo forte e nemmeno un amore rincorso e respinto. Lo segue a sua volta Astrov, rispettabile medico ormai spento, con il disincanto portatosi avanti. Anche lui rincorre un amore, ma è un po’ più fortunato di Vanja. Con lo sguardo inespressivo della balia (da segnalare anche questa intuizione registica, e l’attento muoversi di Lidia Bordignon) a notare tutto quello che succede, la loro condizione prosegue, si inerpica come se non bastasse quando Serebrjakov propone di vendere la tenuta… Panici porta la vera condizione di un mondo rurale disperso, confuso, perduto di fronte a un nuovo che si intravede. Tutti i personaggi sono integri a loro modo, più di qualcuno bloccato senza voler muoversi di un millimetro dalla propria posizione. In questo bailamme familiare, in questi oci ciornie che si scrutano l’uno con l’altro con diffidenza, dove “ognuno alberga demone e distruzione” come dice Helena, il lavoro corale è ottimo, intuitivo, molto ben costruito, e gli interpreti si apprezzano. Soprattutto l’Androv di Tobia Rizzato, ma anche Valentina Iaroshyk nel ruolo di Marina, misurata e al controllo, e la Mar’ja di Michela Dellai. Denis Dalla Palma è un rabbioso, polverizzato Vanja e ci mette la sua disperazione, anche conscia di aver perso una vita dietro solo al lavoro. Il monologo finale di Sonja, che Francesca Scomparin interpreta rassegnatamente è significativo, confortante volendo crederci. Dovendo vivere, si vivrà. E’ l’aspirazione, il credo inneggiante all’esistenza, a quello che è già destinato, consolatorio per Vanja ma anche per tutti gli altri.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Giovedì, 12 Maggio 2022 12:34

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