Quando fece la sua comparsa nel panorama dell’offerta culturale a Palermo il Festival Teatro Bastardo, con la direzione artistica di Giovanni Lo Monaco, fu subito bene accolto e, in breve tempo, ha saputo farsi apprezzare e consolidare l’idea di una sua “necessità” in una città che di arte e cultura potrebbe, non solo, tranquillamente vivere ma soprattutto brillare come stella polare a livello nazionale.
Dichiaratamente non rivolto ad un pubblico di massa - senza nessuna volontà di discriminazione ovviamente - senza sgomitare ma lavorando giorno dopo giorno per continuare ad esistere, il Teatro Bastardo torna in scena, dal 7 all’11 ottobre, a Palermo in un anno che, in generale, ha messo a dura prova il settore Cultura a 360 gradi.
Sesta edizione del Festival Teatro Bastardo; per chi non lo conoscesse spieghiamo cosa si intende per “bastardo”.
Ancora prima di essere un festival, Teatro Bastardo è un pensiero, un’idea, che nasce ai margini di tutto ciò che è mainstream e che riflette sulle marginalità. Il festival Teatro Bastardo è nato sulla scia del Sicilia Queer Filmfest, con cui condivide i valori ispiratori, e sin dalla sua nascita ha sempre cercato di raccontare attraverso la ricerca e l’ibridazione dei linguaggi artistici un Teatro spesso capace di portare sulla scena un’arte divergente che mette in luce il pensiero minoritario, il pensiero di chi lotta per (r)esistere nella diversità e nella ricchezza delle proposte culturali.
Ci tengo a sottolineare tuttavia che al di là del festival vero e proprio, i valori che ci ispirano sono fondanti di tutte le altre nostre numerose attività, altrettanto importanti (almeno per noi) come per esempio, i laboratori per ragazzi e le nostre produzioni teatrali.
Nel Teatro Bastardo, abbiamo “incarnato” un pensiero. Ecco perché è così importante che quest’idea sopravviva e che continui ad andare avanti, anche oltre lo stesso Festival.
Edizione speciale, quest’anno, di “resistenza e di trasformazione”, immaginiamo non soltanto in riferimento all’emergenza sanitaria.
Più che di trasformazione è un’edizione di “r”esistenza. E non soltanto per l’emergenza sanitaria, che in questa fase pure è un problema oggettivo ma che purtroppo in tanti casi è diventata quasi un alibi per tagliare risorse a un settore che era già in crisi. Ma anche per le attuali scelte della politica locale che premiano e sostengono alcuni a discapito di altri, motivo per cui si è reso necessario “assottigliare” la programmazione originaria.
Nonostante questo, e proprio in questo momento di assoluta penuria culturale che ha visto il posticipo se non addirittura la cancellazione di molti eventi, abbiamo voluto esserci e non interrompere un percorso iniziato già diversi anni fa, fatto di condivisione, di relazione con la città, e con un pubblico che ci segue da anni, di un rapporto di confronto e scambio tra le compagnie e gli attori, che trovano nel Teatro Bastardo un interlocutore privilegiato.
La domanda che mi pongo è la seguente: «Se la pandemia ci ha resi poveri di cultura e ci ha rubato quel bene prezioso che è l'immaginazione, se questo tempo precario che attraversiamo ci ha tolto la possibilità di sperimentare con la fantasia i mondi rappresentati sulla scena con i quali tante volte abbiamo empatizzato, perché allora - tanto a livello nazionale che locale - non si punta a un investimento più massiccio sulle attività culturali?»
Chi sono gli artisti presenti e perché sono stati selezionati.
Nonostante i tagli economici subìti, questa sesta edizione di Teatro Bastardo è riuscita a mantenere una piccola e straordinaria porzione della squadra originariamente sognata, che infatti orgogliosamente ospitiamo in questa breve edizione 2020. Da Mimmo Borrelli, che ‘inseguiamo’ ormai da anni ai Fanny & Alexander, per finire con i Maniaci d'Amore, per la seconda volta ospiti del festival, a testimonianza della stima reciproca che caratterizza le relazioni che instauriamo con le compagnie e gli attori.
In particolare Mimmo Borrelli è un drammaturgo, attore e regista tra i più acclamati della scena del teatro contemporaneo, i cui spettacoli sono stati definiti dai critici “tra i migliori degli ultimi vent’anni”. Fanny & Alexander è una compagnia ormai storica, che da tempo volevamo portare in città, mentre i Maniaci d’amore li apprezziamo molto e ci rappresentano per i loro lavori dal taglio cinico e graffiante, necessario in questi tempi bui. Quello che ci regalano loro è un sorriso amaro.
Negli anni, per quanto molto giovane, il Festival ha realizzato una fitta rete di collegamenti tra molte realtà culturali a Palermo: come si spiega questo risultato considerando che la nostra città non è sempre stata così “aperta” soprattutto in quest’ambito.
Il festival è nato proprio con questa vocazione, di parlare al territorio, e non soltanto al pubblico ma anche agli altri operatori culturali attivi nello scenario contemporaneo.
Sin dalla prima edizione abbiamo attivato rapporti e relazioni con altre istituzioni culturali pubbliche e private, non soltanto con il Sicilia Queer Filmfest, dalla cui costola è nato Teatro Bastardo, ma anche con altre realtà che con noi hanno sviluppato delle partnership, come il Goethe-Institut Palermo, il Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, Cinema Rouge et Noir, Latitudini. Rete siciliana di drammaturgia contemporanea e Arcipelago/osservatorio dei festival della scena contemporanea in Sicilia, il Cre.Zi.Plus, insieme ai sponsor tecnici.
Naturalmente non sempre è facile nel tempo rimanere nella stessa rete, e alcuni nostri partner sono cambiati. Tuttavia lo spirito di condivisione ha sempre animato il festival che è nato come realtà nomade, diffuso tra diversi luoghi della città.
Proprio in quest’ottica, nelle piena convinzione della necessità di fare rete fra le piccole e le grandi realtà locali, abbiamo scelto di aprire il festival con una tavola rotonda promossa insieme ad “Arcipelago, osservatorio per i festival della scena contemporanea in Sicilia” e dedicata al tema del valore delle imprese culturali, che ha visto anche la partecipazione dell’Assessore l’Assessore regionale al Turismo, Sport e Spettacolo Manlio Messina.
Quest’anno è assente tra i partner il Teatro Biondo, lo Stabile della città, che fino allo scorso anno era tra i vostri principali sostenitori…
Questa sarebbe una domanda da girare allo Stabile, alla direzione del Teatro che quest’anno non ci ha supportati. E’ stata una loro scelta quella di non essere tra i nostri partner.
Le parole d’ordine di questa edizione, tra le altre, sono: relazione, libertà, senso della comunità, l’interdipendenza degli individui. Qual è la connessione tra loro e perché caratterizzano la VI edizione.
In questi giorni dal tempo sospeso, caratterizzati dall’incertezza, in cui ci viene imposto un distanziamento fisico che sta inevitabilmente cambiando le relazioni tra gli individui è necessario un recupero dei valori fondanti per la nostra società, affinché il clima di attuale emergenza - in cui alle difficoltà sul fronte economico si aggiunge anche la quasi totale assenza di attività culturali - non sfoci nel riemergere della violenza, dell’omofobia e della paura. In quest’ottica gli spettacoli scelti vogliono stimolare una riflessione sul tempo presente e passato, come la storia di Primo Levi, raccontata attraverso lo sguardo della compagnia Fanny& Alexander - spettacolo vincitore di ben due Premi Ubu 2019 - i Maniaci D’Amore con “Siede la terra” che tratta alcuni temi oggi sono incandescenti: il senso della comunità, l’interdipendenza degli individui, il rapporto tra generazioni, la gogna pubblica, in una sorta di pamphlet, spiazzante e irriverente, contro le dinamiche tossiche del villaggio.
E infine “Napucalisse” la riflessione di Mimmo Borrelli su Napoli, un affresco potente e distopico che parla di una città dalle molte anime. Anche il film scelto, inserito in programma, il documentario “Cattività” di Bruno Olivieri parla di relazioni umane, raccontando il «teatro partecipato» di Mimmo Sorrentino ovvero il metodo che il, drammaturgo e regista teatrale, ha sperimentato per il suo lavoro con le comunità che incontra e con cui costruisce percorsi creativi, laboratori e performance pubbliche, per sottolineare il legame con il metodo etnografico dell’osservazione partecipata o partecipante in cui chi osserva, pur rendendosi consapevole del proprio posizionamento, entra in contatto con la singolarità dell’altro, prova a mettersi nei suoi panni, ad avvertire emozioni e sentimenti di chi ha di fronte.
Citando Brecht: “Se la gente vuole vedere solo le cose che può capire, non dovrebbe andare a teatro; dovrebbe andare in bagno”. Il Teatro Bastardo ha più volte portato sui palchi della città spettacoli che altrimenti non sarebbero arrivati. Qual è il vostro obiettivo e cosa vedete nel vostro futuro per il Festival (al di là della contingenza del Covid).
Non so se c’è un merito nel portare a Palermo quello che non riesce ad arrivare qui. E’ una constatazione che in un certo senso mi amareggia, perché pensare che certe cose le porti solo Teatro Bastardo è triste! Sicuramente Teatro Bastardo ha quest’attenzione particolare alla scena del teatro contemporaneo ma non vorrei nemmeno che fosse sopravvalutato.
Per quanto riguarda il futuro del festival al momento non lo vedo roseo. La nostra idea di oggi è di lavorare nel presente. Potrò sembrare scettico ma il trend che si sta delineando, con l’emergenza sanitaria, che diventa un alibi per tagliare fondi alla cultura, unita alle scelte delle amministrazioni locali che privilegiano altre realtà, non mi fanno pensare in una nuova edizione, che, a meno di un’inversione di rotta nelle decisioni politiche, mirate a rinnovare le logiche e i criteri dietro i finanziamenti ai festival, non si farà.
Tuttavia al di là del festival, sottolineo ancora una volta come Teatro Bastardo non sia solo il festival, ma un’idea che si materializza in diverse forme, un insieme di relazioni e scambio volti a creare una rete di effetti “contagianti e contagiati”.
Per questo è importante che Teatro Bastardo, così inteso, sopravviva anche oltre il festival stesso.
Rosa Guttilla