Emanuela Tagliavia danzatrice e coreografa, intraprende giovanissima lo studio della danza classica. Completa la sua preparazione in Francia con lo studio della danza contemporanea, di cui si fa prima interprete, creatrice ed infine Maestra. Riceve il “Prix de la Ville de Montauban”, il Premio “Aldo Farina” e il Premio “DanzaArenzano Arte”. Vanta collaborazioni con compagnie quali: Compagnia Carla Fracci, Corpo di Ballo del Teatro Massimo di Palermo, Ballet du Louvre, Ballet des Temps Modernes, Europa Ballet, Cie Alain Marty, Cie Philippe Tressera, Movimento Danza di Gabriella Stazio, Compagnia Susanna Beltrami, Compagnia Ariella Vidach. È assistente alla coreografia al Teatro San Carlo di Napoli per Šparemblek, Nureyev, North, Malandain, Monteverde. La sua attività di coreografa inizia a metà degli anni Novanta, quando crea le coreografie per “Der Dämon” di Paul Hindemith, al Piccolo Teatro Studio di Milano (1996), per il progetto multimediale “Y:T:T:T:0:M: adLlB:” di Roberto Masotti, per “Giro del tavolo”, spettacolo ospite al Festival di Roccella Jonica, per “12 minuti all’alba”, progetto coreografico commissionato da Giorgio Gaslini (1998), crea “Corto Circuito” per la Scuola del Teatro dell’Opera di Roma (1999). Tra il 2000 e il 2003 crea “À la Carte”, in scena al Teatro Piccolo Regio di Torino, al Festival Civitavecchia, al Festival Cagliari; “Waitingage” per la rassegna “Danza da Bruciare” di Roma, “M’encanta”, nato per il Festival di Rapallo e successivamente andato in scena in numerosi palcoscenici italiani. Cura la regia e le coreografie di “Racconti di sabbia” (spettacolo per bambini); firma “Trio destino”, presentato al Teatro Bolshoi di Mosca. Negli stessi anni, per la Scuola di Ballo del Teatro alla Scala crea “Macbeth”, “La valse à mille temps” di Jacque Brel, “Ceci n’est pas e Carmen”, ispirata alla “Tragedie de Carmen” di Peter Brook. Attiva anche nel cinema, è autrice delle coreografie del film “Io no”, della regista Simona Izzo (2003). Nell’ambito del teatro d’Opera, cura le coreografie di “Nabucco” (2001) con la regia di Stefano Monti per la Fondazione Arturo Toscanini, in scena a Busseto e Siena; “Rigoletto” (2002) con la regia di Vittorio Sgarbi, sempre per la Fondazione Arturo Toscanini; “Aida” (2003) regia di Stefano Monti in scena alla Great Opera Seoul, in Corea. Grazie alla collaborazione con il Museo della Scienza di Milano, crea “506” e “Luminare Minus” (2008), spettacolo quest’ultimo che vede protagonista l’étoile Luciana Savignano. “Luminare Minus” è rappresentato sin da allora con continuità e, nel 2017, insieme alla nuova creazione “Funambolia” (2017), inaugura la stagione di danza del Teatro Gerolamo di Milano. Fra il 2009 e il 2014 nascono creazioni quali “Oscillazioni”, “Balthus Variations” e “Hopper Variations”, che esprimono la sensibilità della Tagliavia nei confronti dell’arte figurativa, “Pour en Herbier”, “Island”, “Encore una Valse”; continuano e nascono collaborazioni con il Teatro Franco Parenti, la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e numerosi teatri italiani che ospitano le sue produzioni. Nel 2015 arriva l’incarico di inaugurare, con la creazione “Combustioni”, il Teatro Continuo di Milano, progettato da Alberto Burri. Nel 2016 la Tagliavia firma le coreografie per “Qohelet”, spettacolo presentato nell’ambito di Jewish in the City #150 – Produzione Teatro Franco Parenti. Nel 2017 cura i movimenti coreografici de “La Gazza Ladra”, andata in scena al Teatro alla Scala per la regia di Gabriele Salvatores; collabora alla ripresa coreografica di “Unsung” di José Limon andato in scena al Teatro alla Scala e al Piccolo Teatro Strehler. Nel 2018 Emanuela Tagliavia crea “Murmuration”, coreografia originale sul “Prélude à l’après-midi d’un faune” di Debussy, in scena al Teatro Gerolamo nell’ambito di “Pulchra Minima”, festival di danza contemporanea di cui Tagliavia cura la direzione artistica; crea “Chansons de Bilitis”, coreografia per Luciana Savignano, in scena al Conservatorio di Milano insieme a “Murmuration” in una serata dedicata a Debussy; torna quindi alla Scala dove firma le coreografie dell’opera “Alì Babà e i 40 ladroni”, per la regia di Liliana Cavani e la direzione di Paolo Carignani. Nel gennaio 2019 è responsabile del coordinamento artistico del Gala di danza in scena al Teatro Fabbri di Forlì in collaborazione con Aterballetto. Nel febbraio del 2019 cura le coreografie del riallestimento di “Qohelet”, che va in scena con grandissimo successo al Teatro Franco Parenti di Milano. Nel marzo del 2019 partecipa al festival Al Bustan di Beirut dove due sue coreografie sono portate in scena dagli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala. Nell’estate dello stesso anno crea i movimenti coreografici per l’evento di Dolce & Gabbana AltaSartoria men collection a Sciacca (Sicilia). A settembre è ad Abu Dhabi, responsabile delle coreografie dell’evento d’apertura del 24th World Energy Forum. Nel gennaio 2020, presso la Fonderia, sede di Aterballetto – Fondazione Nazionale della Danza, va in scena “Shortcut”, spettacolo che raccoglie alcuni dei lavori più iconici firmati dalla Tagliavia negli ultimi quindici anni. Dal 1999 Emanuela Tagliavia è docente di danza contemporanea presso la Scuola di Ballo dell’Accademia delle Arti e Mestieri del Teatro alla Scala, dove svolge anche il ruolo di coreografa. Dal 2007 è docente presso la Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi.
Carissima Emanuela, raccontami il lavoro svolto durante il periodo di lockdown?
“Prisma” è la mia prima coreografia “online”, il mio lavoro a distanza tra Milano e Roma durante il lockdown – una distanza che non è solo spaziale ma temporale. Anche nella clausura forzata c’è un “rituale”, perché la costrizione ci obbliga al ricordo, alla malinconia del gesto perduto. In questo binomio continuo tra dentro e fuori, apertura e chiusura, dinamicità e staticità, musica e silenzio, i movimenti di danza tentano di abbattere le pareti proiettandosi verso l’esterno, in sequenze libere che evocano il desiderio di rompere con schemi definiti. Mentre cielo e terra sono rimasti invariati le prospettive, le relazioni, i legami sentimentali, i desideri, le occasioni di muoversi nel mondo si sono cristallizzate. Quello proposto è un lavoro a dieci mani, che ha diverse sfaccettature proprio come un prisma: il diario emotivo del performer-attore Sebastien Halnaut, la sensibilità del regista Francesco Sculco, la scrittura evocativa di Francesca Scotti e la creazione musicale di Irina Solinas, interprete e creatrice.
Hai poi proseguito con “Il luogo del Paradosso”?
Durante il lockdown ho accettato l’invito di Gabriella Stazio, coreografa e direttrice di “Movimento Danza” di partecipare al progetto online “Il luogo del Paradosso” costruito da “cellule coreografiche”, che hanno come tematiche le avventure del corpo, l’oblio, la metamorfosi, la memoria, la rinuncia, la ribellione del corpo ed altre ancora. Ho cercato di filmare le mie improvvisazioni in spazi domestici che fossero funzionali al pensiero coreografico. Questi estratti serviranno a costruire un assolo che presenterò a Padova il 22 novembre. La difficoltà è staccarsi dall’occhio della ripresa per proiettarsi in una dimensione teatrale dove lo spazio è scenico e dove lo sguardo dello spettatore non è condizionato dal video.
Immagino che essendo così vicino il debutto tu sia in prova attualmente?
Esatto Michele, in questi giorni sono in prova nelle sale di “Studio Danza” a Monza. Grazie a Laura Fiora, mia carissima amica, ho questa residenza. Mi piace provare in questa scuola che offre spazi bellissimi in un’atmosfera “newyorchese”, ma soprattutto mi piace il fatto che l’obiettivo dei corsi è di avvicinare più persone alla danza senza la pretesa di “vendere fumo”. Con onestà professionale Laura crede nella danza come mezzo culturale che dà ad ognuno la possibilità di esprimersi e di comunicare. Ho intenzione di collaborare a “Studio Danza” per eventuali residenze destinate a piccoli gruppi. Oggi è molto difficile trovare sale per provare e le difficoltà economiche non permettono ai coreografi di sostenere le spese dell’affitto. Anche alla fine del lockdown Laura ha avuto la sensibilità di offrire gratuitamente i propri spazi ai professionisti, per rimettersi in forma. Stiamo lavorando ad un progetto che prevede delle lezioni a tema rivolto a danzatori-insegnanti, naturalmente non online! In presenza e in una sala che permette di lavorare in sicurezza.
Mentre il lavoro con gli allievi della Scuola di Ballo della Scala qual è stato nei mesi passati?
Durante il lockdown ho pensato che il tempo a nostra disposizione fosse utile per coinvolgere gli allievi dell’Accademia Teatro alla Scala a costruire delle cellule coreografiche all’interno delle proprie abitazioni. Diverse tematiche: “For small spaces”, dipinti di Edward Hopper (figure umane immerse nei silenzi della propria solitudine) Sequenze a confronto, analisi musicale e analisi del movimento e calligrafia motoria. Inviare video della durata massima di due minuti, aspettare le mie indicazioni attraverso un vocale e procedere a modificare eventuali fino all’approvazione e condivisione con il gruppo. Molto interessante l’intimità che si è creata che ha permesso agli allievi di avere una maggiore libertà espressiva, e anche il fatto di non avere un orario o un giorno stabilito, come se il lockdown avesse abolito la scansione temporale.
Mentre con gli studenti della Scuola Civica Paolo Grassi?
Con la Paolo Grassi ho svolto lezioni online e un lavoro di video-composizione che è stato inserito nel “Festival Morsi”, di Marinella Guatterini dal titolo “Dieci pagine” (In clausura mi faccio bastare un metronomo per 22 danzatori). Durante il periodo di lezioni, rigorosamente online, abbiamo lavorato su una sequenza che ciascuno degli allievi aveva il compito di inserire nei propri spazi quotidiani e che abbiamo successivamente, in fase di montaggio del video, raggruppato per affinità. Lavorando con un metronomo o in assenza di musica, sempre in fase di montaggio, il compositore Giampaolo Testoni, ha scritto e sovrapposto i commenti musicali che accompagnano i movimenti.
Il tuo ultimo lavoro dal vivo, in teatro, prima del lockdown qual è stato?
Poco prima della chiusura del Teatri ho ricevuto l’invito da Aterballetto per una mia serata in Fonderia. Ho deciso di lavorare con sei danzatori del Teatro alla Scala, quasi tutti miei ex allievi e anche interpreti di alcune mie coreografie del passato. Si potrebbe definire “Shortcut” una retrospettiva senza una successione cronologica ma una narrazione basata sull’affinità; la stessa che mi lega alle bellissime musiche scritte appositamente dal compositore Giampaolo Testoni. Ogni estratto dai lavori principali si specchia nel successivo, seguendo un fil rouge visionario. In scena Stefania Ballone, Christian Fagetti, Giulia Lunardi, Giulia Schenato, Gioachino Starace, Andrea Risso, Emanuela Tagliavia.
Quali sono i progetti del festival di danza contemporanea “Pulchra Minima” di cui sei direttrice?
Come ben sai Michele questo festival si svolge in uno spazio piccolo che si sente grande, il Teatro Gerolamo. Forte dei suoi 150 anni, di tante stagioni fortunate e di un nuovo smagliante aspetto, questo luogo storico nel cuore di Milano crea e offre aspettative, invitando a pensare alle sue esigue dimensioni come ad una grande opportunità. Quattro serate dedicate alla danza, in cui coreografi italiani accettano il confronto con un palcoscenico “da camera”, per creare assoli, duetti e trii. Linea guida della prima edizione è stata l’arte del Surrealismo e la sua visione onirica; il sogno, a cui si appellano le avanguardie del Novecento, quale matrice del processo creativo. Per giugno 2020 era prevista un’altra edizione, stavo già lavorando ad una selezione di assoli e duetti di coreografi italiani...
Negli ultimi tempi hai avuto modo di lavorare con grandi registi?
Con Gabriele Salvatores ho fatto “La Gazza Ladra” nel 2017, mentre con Liliana Cavani “Alì Babà e i 40 ladroni” entrambi spettacoli andati in scena al Teatro alla Scala. Per quest’anno, sempre alla Scala, era previsto “Un ballo in Maschera” di Gabriele Salvatores e anche nuove coreografie per la ripresa del “Tannausher” de La Fura del Baus.
Ho avuto modo di assistere al Teatro Franco Parenti alla creazione “Qohelet” con la regia di Federica Santambrogio e le tue coreografie, parlami di questo progetto che ha avuto un particolare successo?
Creare a partire da un testo sacro, letto e interpretato dall’attore Elia Schilton, accompagnato da un violoncello e tre danzatori-performer, il mondo, l’essere umano, la sua fragilità, la disperazione, la gioia, il rapporto con il presente e con l’infinito. Ho ripensato molto durante il lockdown ad alcune frasi del Qohelet: “Per tutto è sotto il cielo una stagione, per ogni evento un’ora”.
Mediante la memoria e il corpo come si narra il proprio intimo?
Il corpo rappresenta la nostra memoria, come se attraverso il corpo scrivessimo il tempo, tutto ciò che ci attraversa, anche gli stati d’animo più profondi e intimi.
Da cosa ti lasci ispirare per la creazione?
Sono diverse le mie fonti di ispirazione: l’arte figurativa, estratti da testi letterari, visioni, suggestioni, evocazioni. Spesso si parte da un pensiero e poi quel pensiero ti indica la strada. Lo stesso vale per il movimento.
Cosa ti ha donato di più bello ad oggi la scoperta e la professione della danza?
Non mi vedrei in un altro lavoro, la bellezza sta nell’esercitare la professione che si ama e che si ha sempre amato... anche nelle difficoltà.
Chi stimi in particolare sul versante coreografico, tra passato e presente?
Tra i tanti mi piace citare in particolare Pina Bausch, Angelin Preljocaj, Merce Cunningham, Alain Platel, Dimitri Papaioannou, Anne Teresa de Keersmaeker, Crystal Pite, Ohad Naharin.
A tuo avviso, esiste una solitudine del danzatore o i ruoli sul finire della performance rimangono attaccati e confondono la realtà con la fantasia?
Dipende dal ruolo, io penso che la solitudine è sempre presente quando si finisce, c’è un senso di vuoto difficile da colmare. Ci sono dei ruoli che ti possono arricchire, ma il palcoscenico non è la vita, solo una trasposizione della vita stessa.
Come si fa a scoprire tramite la danza l’essenza dell’artista o nel tuo caso anche dell’allievo?
Gli allievi talentuosi li riconosci (anche se oggi si fa largo uso della parola talento). C’è sempre una differenza tra chi esegue pensando solo al movimento come un’esecuzione tecnica e chi vive, ricrea, interpreta e si nutre d’altro, non solo di danza.
In qualità di docente hai avuto modo di lavorare con numerosi talenti, diventati nel tempo, danzatori di successo, chi sono i primi che ti vengono in mente?
Virna Toppi, Christian Fagetti, Vito Mazzeo, ma anche Martina Arduino, Nicoletta Manni, Sara Renda, Rebecca Bianchi, Michele Satriano... poi ci sono gli allievi che hanno scelto un percorso diverso come Antonio de Rosa e Mattia Russo coreografi affermati del gruppo “Kor’sia”, Diego Tortelli (coreografo residente all’Ater) Giulio Petrucci ottimo danzatore di compagnie contemporanee.
Che rapporto hai avuto in carriera e a tutt’oggi con lo specchio, elemento fondamentale in sala danza per il ballerino?
Lo specchio è per il danzatore una ossessione, anche se può essere uno strumento utile, soprattutto nella creazione o quando esegui dei movimenti e allo stesso tempo controlli l’esecuzione degli allievi; spesso ti limita, perché ti senti troppo proiettato verso la tua immagine e perdi la consapevolezza del movimento. Sempre meglio sentire prima di vedere...
In cosa si differenzia il tuo lavoro tra la Scuola di Ballo della Scala e la Civica Scuola d’Arte Paolo Grassi?
Sono due scuole d’eccellenza, con obiettivi molto diversi, e con allievi di età diversa. In scuola di ballo inizio dal 4° corso, quindi 14 anni e il primo insegnamento è quello di far scoprire che il corpo può muoversi in altre direzioni e la capacità di un danzatore è di essere duttile e “poliedrico”, capace di adattarsi a diversi stili. Lavoriamo anche sulla ricerca di una propria gestualità. In Paolo Grassi, gli allievi sono adulti, alcuni arrivano con una formazione teatrale e poca esperienza di studio della danza. Lavoriamo su una migliore consapevolezza corporea e cerchiamo di costruire una base tecnica utile alla loro attitudine performativa.
Michele Olivieri