Paola Pitagora affascina allora come oggi, sia con quella chioma bruna e riccia della gioventù che bionda platinata in “A come Andromeda”. Come donna e come attrice. La Lucia Mondella dei “Promessi Sposi” diretti da Sandro Bolchi, la Giulia de “I pugni in tasca” è ora una gentile signora dello spettacolo, attraversato trasversalmente in tanti anni di carriera. Nata a Parma nel 1941, formatasi con Alessandro Fersen, inizia giovanissima a lavorare negli studi televisivi, prima da presentatrice poi da attrice partecipando a diversi film e spettacoli teatrali. Nelle fiction (ne sta girando una anche ora) è sempre ammaliante e la sua presenza è profonda. La incontriamo al Teatro Olimpico di Vicenza, dove ha da poco interpretato, voce recitante, “Shéhérazade” uno spettacolo delle Settimane Musicali 2022.
Cosa la affascina di questo personaggio?
Shéhérazade è un mito. E la chiave che ha voluto dare l’autrice del testo, Donatella Donati, sintetizzando, è stata quella del riscatto femminile, della testa e della mente, di lei che offre il suo corpo al sultano in cambio della salvezza delle altre concubine, raccontandogli ogni sera una storia che piano piano lo seduce, lo fa sognare e lo conquista. Uno slancio verso la parità.
Un personaggio che l’ha conquistata dunque…
Tutto è nato dal rapporto con i pianisti Marco Sollini e Salvatore Barbatano, con i quali abbiamo portato a lungo in scena testi di Leopardi. Poi hanno pensato a questa cosa che credevamo rimanesse un’esperienza a sé, invece ci viene chiesta in continuazione, e tutte le volte che possiamo la presentiamo volentieri.
Tornare al teatro Olimpico che sensazione dà?
Mi ha fatto un grande effetto, devo dire, è la mia terza volta, la prima fu con “La finta serva” di Marivaux, con la regia di Luca de Fusco e nel 2020 con una fiction, “Luce dei tuoi occhi”, che si girò anche qui.
Parliamo dei musicisti in scena con lei, Sollini e Barbatano.
Loro sono due veri virtuosi, eseguono a quattro mani quello che normalmente suona un’orchestra, quella di Rimskij- Korsakov è una musica pazzesca.
Come vede invece le nuove generazioni di attori?
Guardi recentemente ho visto in tv “Al calar del sipario”, una commedia di Coward con tutte le grandi attrici di un tempo, Emma Gramatica, Lidia Alfonsi, la Borboni, Wanda Capodaglio e altre ancora, c’è tutta una sinfonia di sfumature, di toni, un capolavoro. Una volta per l’attore la vocalità era tutto, adesso si punta solo all’immagine. In televisione ci sono dei talentuosissimi attori ma pochi conoscono l’uso della voce, che è legata alla psicologia, non è che sta per conto suo. Molti fanno del “rap”, si capiscono le prime due o tre parole, poi basta. Quelle signore citate prima, quelle attrici, sapevano queste cose.
Tanto esercizio, talento?
Quella è la grande scuola del teatro, saper parlare senza forzare facendosi capire comodamente in ultima fila. Naturalmente c’è chi oggi queste cose le sa fare, ad esempio Toni Servillo, Giancarlo Giannini, quelli che hanno ricchezza di talento, che hanno lavorato sul palcoscenico. E poi Antonio Latella, Valter Malosti, Lino Musella.
Come sono stati i suoi inizi, Paola?
Iniziai negli anni Sessanta, e mi è andata sempre di lusso nel senso che comincio vincendo con altri giovani una borsa di studio della Vides ed entro allo Studio Fersen, facendo lezioni con lui per un anno. Poi vinco a 20 anni un provino alla Rai e mi prendono a fare la presentatrice, conduco qualche rubrica e i testi me li scrivevano Barbato, Zavoli, Giovanni Salvi. C’era tanta cultura. In teatro Squarzina, Strehler, veda un po’, vogliamo parlare di questi grandi? Spettacoli da brividi.
E il ruolo di Lucia Mondella nei “Promessi sposi” diretti da Bolchi?
Ho fatto un provino con lui, mi sono trovata senza sapere neanche bene perché a fare questo sceneggiato, senza quasi desiderarlo. Avevo appena girato “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio.
La sua Lucia l’ha mai abbandonata?
All’inizio mi pesava perché avevo velleità di propormi anche in altre chiavi, adesso sono onorata anche perché, a ripensarci, erano lavori fatti proprio bene. Mi sono trovata al centro di tutti i grandi attori dell’epoca, Salvo Randone, Nino Castelnuovo, Elsa Merlini, Lilla Brignone.
Oggi, da quel clima lì, quel mondo d’arte di allora quanto è cambiato, cosa?
Tutto. Nel teatro ci sono stati dei grossi passi avanti, dall’avvento di Luca Ronconi in poi, i linguaggi si sono evoluti, è successo di tutto. La televisione commerciale ha condizionato, livellato in un’altra maniera, guardi un po’ i reality. E’ anche una forma di assuefazione, un po’ ipnotica. Allora bisognava conquistare il pubblico. Adesso è un altro modo di lavorare, molto martellante ma ci sono dei bei prodotti. Ho visto da poco “Blanca”, fatto benissimo, con Maria Chiara Giannetta protagonista, un’attrice completa, molto brava, e anche gli altri.
Torniamo al teatro come forma d’arte. Come sta vivendo questo periodo?
Continua nella fatica, lo stop del lockdown è stato pesantissimo. So purtroppo di professionisti in difficoltà.
Di Paola Pitagora spesso si ha un’immagine iconica di un’ex ribelle, attivista femminista, impegnata, come la stampa la definiva nei Sessanta/Settanta? Tutto esatto?
Secondo me esageravano, si’,sono stata una delle prime a dire la sua, pagandone il prezzo. Comunque c’era una certa stampa che su queste cose ci inzuppava, in realtà io sono sempre stata precisina, disciplinata, e quando lavoro c’è sempre collaborazione, mai stata la ribellione. Siccome, appunto, ho detto la mia una volta, c’era stato l’assassinio del presidente Allende, da quella volta lì…ma erano anni tremendi. Avevo fatto i “Promessi sposi” e la voce ricorrente era “ma che vuole questa?” Tirava un’aria di un certo tipo.
Professionalmente parlando rifarebbe ogni cosa?
Tutto sommato si’, magari eliminerei qualche partecipazione in qualche film insulso. Alla fine poi mi sono accorta che quando si fa una cosa la si fa perché è meglio fare che stare a casa, in questo strano mestiere. Mi è andata molto bene nel senso che non ho mai dovuto cedere a niente e nessuno, e lo dico non certo con moralismo ma per la mia dignità di donna parmigiana. Certo, mi è capitato di trovarmi addosso delle persone ma avevo i riflessi pronti e non ho mai subito il grande ricatto, e se questo era nell’aria tagliavo la corda e perdevo il lavoro piuttosto. Ho perso qualche occasione ma non è stato grave. Adesso poi capisco tante cose, in questa stagione che sto vivendo, che è quella della vecchiaia, anche di come certe mie colleghe molto brave preferiscono lasciare il lavoro, “non sentendolo più”. A me personalmente non mi ha mai sfiorato ma la capisco, fa parte del gioco, e sono scelte.
Fare l’attrice non è dunque un mestiere come un altro?
No, è legato a tanti piccoli fattori di sensibilità, è anche un estro che deve sostenere, un’accettazione della propria immagine, un amore di se verso la trasformazione del personaggio, e se questo comincia a incrinarsi…
Il futuro del teatro, dopo questo maledetto periodo?
Eh, bella domandona. Qui si naviga a vista, però posso dire che sono stata a teatro due volte recentemente ed era sempre gremito, di giovani, che hanno la voglia di venire, vedere.
Ma non c’è bisogno di nuovi linguaggi, esperimenti?
Il teatro è un’alchimia e c’è chi la sa fare, è un linguaggio universale sia per vecchi che per giovani. E poi sinceramente sento parlare di crisi del teatro da quando avevo diciott’anni.
Secondo lei recitare può essere destabilizzante mentalmente? Più di qualcuno lo pensa.
In qualche caso è capitato, succede. Sa una cosa? E’ difficile reggere il successo, ed è difficile reggere anche l’insuccesso che arriva per tutti, tranne per pochi super illuminati, o super cinici. Per una donna lo è due volte. La vita familiare, la maternità sono cose che succhiano energia. Le fragilità sono presenti, le ho attraversate anch’io ma ho saputo cogliere una certa stabilità.
Lei ha fatto molte cose nella sua vita, anche l’autrice di canzoni per bambini. Le manca qualcosa?
Non è finita la storia, il mio amore per la musica, da dilettante, continua. Niente di clamoroso, ma spero di dare presto qualche notizia divertente nel mondo musicale.
Francesco Bettin