Stabat Mater
Liberamente tratto da un testo di Grazia Frisina
Regia: Giuseppe Tesi
Aiuto Regia: Giuseppe Sartori
Direttore della Fotografia: Riccardo De Felice
Musiche: Marco Baraldi
Brano Musicale “Indifferentemente” interpretato da Valentina Stella
Brano “Stabat Mater” di Pergolesi interpretato dal Sopranista Angelo Manzotti
Roma, 23 luglio 2021
L’esperienza della carcerazione deve essere estrema. In certi termini, seppur in un contesto decisamente diverso per epoca e situazioni, Jean-Paul Sartre la affrontò in Porta chiusa. Celeberrima la battuta di questa pièce: “L’inferno sono gli altri”. In un ambiente chiuso, tutto fatto di saloni e porte che conducono a stanze identiche le une alle altre, cosa può voler dire restare lì, e per l’eternità addirittura? Una condanna senza limiti di crudeltà. Soprattutto perché l’altro rappresenta, per similarità di situazione, me stesso. E ne diviene, sebbene inconsapevolmente, giudice impietoso.
Questa, c’è da supporre, la vera essenza del carcere come luogo. E della reclusione come stato mentale, più che fisico. Giorni che si susseguono agli altri senza variazione. Tempo che non scorre, pur non cessando mai il ticchettio martellante degli orologi. Inattività che porta alla noia. Noia che conduce alla disperazione. E che, a sua volta, incentiva i ricordi, soprattutto dei crimini commessi e che hanno portato a scontare svariati anni di prigionia.
Che fare a quel punto? Come venirne a capo? Ci si può abbandonare alla pazzia totale, cedendo così anche l’ultimo barlume di lucidità rimasta. Oppure dedicarsi a qualcos’altro. Colorare questo indefinito mondo grigio, fatto di mura incolori e sbarre che oscurano l’azzurro del cielo.
Questo il tentativo che il regista Giuseppe Tesi ha tentato di perseguire con il cortometraggio Stabat Mater. Film breve realizzato insieme con i detenuti del carcere di Pistoia che hanno affiancato Melania Giglio e Giuseppe Sartori.
Spunto dell’operazione è il testo poetico della poetessa Grazia Frisina, Madri. Si tratta di versi che l’autrice compone con finalità esplicitamente evocative. Come può una Madre, qui archetipo di tutte le madri, resistere al dolore che consegue all’ingiusta morte del proprio figlio? Domanda alla quale è difficile rispondere con oggettività. Tanto Grazia Frisina che Giuseppe Tesi scelgono la via della rappresentazione di tale condizione. Si mostra, difatti, la disperazione della Madre di fronte alla tragedia che l’ha colpita e che deve vivere. Insieme con lei, i detenuti della Casa Circondariale di Santa Caterina in Brana di Pistoia esprimono, ciascuno dal proprio punto di vista, il dolore nell’essere persone responsabili di un crimine che stanno scontando ed espiando con una pena detentiva.
Tragedie che si specchiano l’una nell’altra. Simili ma non identiche. In tal senso, il cortometraggio mantiene separati ciò che avviene alla Madre e ciò che accade ai detenuti. Tutti, alla fine, paiono condividere lo stesso intento: la necessità di attraversare il male in quanto condizione transitoria, momentanea. Idea, questa, che data dal Libro di Giobbe. Che ritroviamo declinata in supreme opere d’arte.
Stabat Mater di Tesi ha mostrato un aspetto della condizione detentiva che già fu a suo tempo indagato dai Fratelli Taviani in Cesare deve morire: l’importanza dell’arte come esercizio, non scontato, di libertà.
Pierluigi Pietricola