Della presentazione del libro su Mario Scaccia di Michela Zaccaria mi è rimasta impressa soprattutto una cosa: la sobrietà insieme alla brevità con la quale è avvenuta. Non vi è stata una parola di più né una di meno. Non vi era nemmeno quell’aura di velata agiografia con la quale si è soliti ammantare occasioni celebrative come queste.
È passato da poco un decennio da quando Mario Scaccia ci lasciò. E come ha giustamente notato Masolino d’Amico con la sua consueta precisione, il teatro vive di oblio: nel senso che pian piano si allontana dalla memoria di coloro che hanno assistito a qualche spettacolo, ma senza scomparire, perché è attraverso questo distanziarsi che esso entra nel mito. E allora ecco affiorare testimonianze, memorie, esperienze condivise con questo o quell’altro interprete: tutto concorre ad arricchire un’atmosfera che, pian piano, assume parvenza di magia.
Di Mario Scaccia, oggi, si parla troppo poco. E come ha sottolineato Elena Sofia Ricci, che debuttò giovanissima proprio con Scaccia, il giorno del suo funerale non c’erano molte persone, ciò che fu un’ingiustizia. Perché egli fu non solo un grande artista, ma soprattutto un uomo generoso, sensibilissimo, pieno di una curiosità mai frivola.
Però, e qui sta la magia della ricerca storica e critica insieme, nulla di quello che Scaccia realizzò è andato irrimediabilmente perduto. Anzi: esso sopravvive nella memoria di chi lo condivise con lui, così come in quella di coloro che, semplicemente, assistettero ad una sua interpretazione per una sola volta. Sicché l’oblio cede il passo al mito e coloro che hanno la fortuna di entrare in tale dimensione è come se divenissero sempre presenti, vincendo la morte e la sua capacità di far piombare tutto nel nulla.
Di Mario Scaccia, quindi, nel libro della Zaccaria (edito da Bulzoni) è presente non solo la storia della sua vita, ma anche alcune cose che scrisse e interpretò nell’arco della carriera, insieme ad una cronologia ragionata dei vari spettacoli. Glauco Mauri, con una testimonianza registrata e trasmessa via video, ha tenuto a sottolineare l’ironia di Scaccia nell’interpretare i personaggi: caratteristica con la quale non li rendeva mai ovvi né banali. Elena Sofia Ricci ha ricordato una pratica di Scaccia nello studio del copione: quel segnare continuo le pause, le intonazioni e appuntare il sottotesto delle varie battute. Masolino d’Amico si è concentrato sulla fisicità di Scaccia, la sua imponenza in palcoscenico che tanto determinava lo stile della sua recitazione.
È emerso, da questo fluire di ricordi, un mondo teatrale che oggi sembra un sogno fantasioso. Quel mondo descritto da Tofano in quel delizioso libretto Il teatro all’antica italiana. Ma tutto ciò non fu fantasia, né sogno di qualcuno, bensì una realtà che in tanti vissero. Fra questi Scaccia. La cui particolarità di interprete fu anche, forse soprattutto, nella sua grande cultura artistica.
Dettaglio non da poco, e che molti attori d’oggi farebbero bene a tenere a mente.
Pierluigi Pietricola