venerdì, 15 novembre, 2024
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MACBETH - regia Davide Livermore

"Macbeth", regia Davide Livermore "Macbeth", regia Davide Livermore

Il Macbeth verdiano di Davide Livermore. Visto da casa sul canale 501 RAI 1HD: la tentazione è stata quella di riandare con la memoria alla prima volta di una diretta televisiva inaugurale dal Teatro Alla Scala di Milano. Era il 1976 con Otello di Verdi, direzione Kleiber, protagonisti Domingo, Freni, Cappuccilli, regia di Zeffirelli. Fu evento. Poi la pratica delle dirette dai teatri cadde in disuso in quanto le luci delle riprese televisive delle dirette "disturbavano" la messinscena.
Fa piacere assistere adesso alle dirette inaugurali delle grandi stagioni teatrali, annotando una certa differenza di trattamento tra i teatri italiani. Perchè solo la Scala su Rai 1 e non l'inaugurazione dell'Opera di Roma piuttosto del San Carlo di Napoli, rimandati su RAI5? Certamente sono scelte aziendali del settore televisivo e opzioni degli sponsor che amplificano l'immaginario collettivo delle prime scaligere.
Comunque quello che abbiamo visto la sera del 7 dicembre 2021 trasmesso dal teatro milanese è ben più che una semplice diretta. Prima di tutto si trattava di un falso live. Quello che lo spettatore vedeva a teatro era altro rispetto a quanto lo schermo faceva intravedere. Quale è il futuro dell'opera lirica? forse la sua realizzazione secondo il linguaggio di ripresa cinematografica? Potrebbe essere un ritorno all'antico, quando tra gli anni '40 e '50 del secolo scorso si impose un vero e proprio filone dell'opera in trasposizione cinematografica, come spettacolo popolare e riadattamento delle trame. E come il recentissimo Gianni Schicchi di Puccini filmico della regia di Michieletto. Nel caso di Livermore le riprese andavano oltre i particolari del palcoscenico, ma proiettavano lo spettatore dello schermo su altre immagini. Sono sorte feroci discussioni sui social e media sulla questione dell’antica e inutile disputa fra tradizione e modernità, ma sarebbe stato più opportuno indirizzarla se uno spettacolo possiede una regia efficace, convincente, coinvolgente, in grado di farci capire meglio un’opera o in che misura essa tratti temi attuali e modernissimi quali l'abuso del potere che genera tirannia, secondo lo schema del teatro storico shakespeariano.
Nulla di tutto ciò ha caratterizzato la regia di Davide Livermore, che, seguendo un modello fisso per tutti i suoi allestimenti, ci ripropone effetti visivi realizzati con il team di D-Wok per la parte video con l'dea di far immergere lo spettatore nella realtà di un video-game citando Nolan di “Inception” e Solanas di “Upside Down”. Le riprese iniziali interne al veicolo proiettato in palco ci fanno vedere Macbeth e Banco in primi piani con le loro espressioni problematiche, nervosismo di chi ha condotta una azione che non è di una vittoria in campo, ma molto probabilmente un agguato, come la telecamera che ci proietta dentro l'ascensore, microcosmo in movimento che ci induce a pensare ad un altro film cult, ossia, Ascensore per il patibolo di Louis Malle o le riprese dall'alto del palcoscenico per proiettare i corpi dei ballerini che agivano sul piano. Scene sontuose nella loro modernità, nella loro astrazione di effetti fluidi e architetture post moderne, compreso pontone praticabile per le scene di massa. Se la scenografia di Giò Forma fa intravedere quello che sarà lo sviluppo del teatro immaginifico prossimo venturo, manca nella regia di Livermore uno studio un approfondimento generale dei personaggi che appare ondivaga e per tentativi. Poco riuscita la scena del primo vaticinio, mentre appare ben strutturata anche dal punto di vista dei figuranti la scena delle streghe del terzo atto, che sarebbero poi le stesse del primo atto, come il successivo incubo di Macbeth accompagnato da visualizzazioni astratte o l’incubo del banchetto con l’ossessione dell’immagine, questa reale, di Banco. Di contro non basta far ballare Anna Netrebko, Lady Macbeth, nelle danze del terzo atto per toglierli di dosso un ruolo da maitresse del potere capace di circuire il proprio consorte, specie se i costumi di scena di Gianluca Falaschi, amplificano la scelta pacchiana definita dal personaggio. Costumi giustamente generici data la scelta di ambientare un una modernità non cronologicamente definita.
Musicalmente la resa della diretta è stata di non alta qualità. Si è passati dal canale principale a quello di RAI 1HD per avere la percezione degli accadimenti musicali. La scelta di Riccardo Chailly è stata quella di contaminare le due edizioni del Macbeth di Verdi quella del 1866 con alcuni inserti della prima edizione del 1847, musicalmente più asciutta e scarna. Una direzione che ha voluto accentuare gli elementi oscuri della scrittura musicale e dilatando i tempi della scrittura verdiana rendendola a tratti irriconoscibile. Per le voci Anna Netrebko, fuori voce in tutta la prima parte, con un artificioso gioco delle note gravi, e molta imprecisione di emissione nel registro acuto, si riscatta nella scena del Sonnambulismo gestita con un colpo da maestro registico che solo dal video si percepiva: una visuale a strapiombo abissale su una strada. Luca Salsi definisce un Macbeth più declamato che cantato, facendo perdere quegli elementi dell'ampio fraseggio musicale del canto verdiano. Ineccepibili il Macduff di Francesco Meli, per esemplare dizione e fraseggio, e il Malcom di Ivàn Ayòn Rivas. Ottima l’interpretazione di Ildar Abdrazakov nella parte di Banco, forse l’unica figura che ha incarnato quella nobiltà che Verdi non negava nemmeno ai caratteri più truci o sfortunati delle sue opere.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Sabato, 25 Dicembre 2021 11:04

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