Per Anagoor il presente si declina nell’attenzione al passato, nel recupero di quel patrimonio della classicità latina/greca che interroga l’oggi con urticante efficacia. «Il teatro è l’imitazione del dolore, una mimesi che ci piace e che scaturisce dalla nostra stessa natura – scrive Simon Critchley nel saggio A lezione degli antichi. Comprendere il mondo in cui viviamo attraverso la tragedia greca -. Tutto il teatro è teatro della crudeltà e si può dire che abbia poco o nulla a che fare con l’educazione morale» In ciò pare plausibile leggere l’azione di Anagoor che dall’apparente oggettività documentale del passato e delle due fonti fa deflagrare il qui ed ora di un fare teatro che è agire la parola e il pensiero con lo sguardo rivolto al qui ed ora non solo del teatro ma anche del nostro essere nel tempo presente. Tutto ciò si compie anche nela volontà/possibilità di coniugare la propria estetica con un altro respiro linguistico e produttivo che si compie nell’incontro della compagnia Anagoor con il Theater an der Ruhr. Dopo aver prodotto il remake tedesco di Socrate il Sopravvissuto, Sokrates Der Überlebende / wie die Blätter, che ha debuttato nel 2019, la compagnia di Simone Derai e Marco Menegoni ha realizzato per il Theater an der Ruhur lo spettacolo Germania Römischer komplex che ha debuttato lo scorso 5 febbraio. «Punto d’attacco del progetto è la Germania di Tacito, reportage etnografico pubblicato alla fine del I secolo d.C. Nel giustapporre l’impero romano e le popolazioni germaniche, che nella sua visione rappresentavano la quintessenza dello straniero, Tacito elabora l’invenzione di un confine impermeabile tra il noi e l’altro così pregnante da divenire modello per un’idea degli stranieri che tutt’oggi persiste – spiega Simone Derai -. Uno dei cento libri più pericolosi al mondo: così fu definita la Germania e a buon diritto questo giudizio vale per questi risvolti della sua ricezione in età moderna». A far sì che l’indicibile e il rimosso torni a galla, nonostante il potere non lo permetta o cerchi di impedirlo è la poesia che disvela e rivela: così la lezione tacitiana trova una rinnovata voce nell’azione creativa di tre poeti contemporanei Durs Grünbein, Antonella Anedda, e Frank Bidart, insieme a Roberto Ciulli, fondatore del Theater an der Ruhr e a Simone Derai. Al lavoro sulla Germania tacitiana si affianca ora una nuova produzione Vom Licht dal romanzo di Anselm Neft, sempre nell’ambito della collaborazione produttiva messa in atto con il Theater an der Ruhr, fresco fresco di debutto. Paradossalmente dalla riflessione sui confini e la distinzione fra noi e loro, noi e lo straniero, Anagoor passa ad affrontare il tema della famiglia e delle relazioni familiari in un contesto di chiusura al mondo. Il chiudersi e l’aprirsi, le possibilità negate dalla chiusura omologante e quelle offerte dall’apertura all’atro fanno da humus al pensiero in scena di Anagoor, alla ricerca del gruppo di Castelfranco Veneto impegnato nell’interrogare il contemporaneo tramite la poesia e la parola che narra e dice.
Da dove è venuta l’idea e quali sono le ragioni che vi hanno spinto ad adattare e portare in scena il controverso romanzo di Anselm Neft?
«È stato Sven Schlötcke, direttore del Theater an der Ruhr, a proporci la lettura del romanzo di Anselm Neft per una possibile messa in scena – raccontano Simone Derai e Marco Menegoni -. Era l’estate del 2017, e Sven durante una vacanza ci raggiunse in bicicletta a Castelfranco Veneto dove viviamo e abbiamo fondato il nostro atelier. Portò Vom Licht con sé. Ce ne parlò una sera a tavola con grande entusiasmo e inquietudine. Noi di Anagoor eravamo stati da poco ospiti al festival di Müllheim con Socrate il Sopravvissuto/ come le foglie, uno spettacolo (anche in quel caso tratto da un romanzo - Il Sopravvissuto dello scrittore italiano Antonio Scurati) con non pochi punti di contatto con Vom Licht, e ci stavamo preparando a mettere in scena l’Orestea di Eschilo. Da una parte i possibili fallimenti del sistema educativo e le derive del pensiero occidentale con la classe di una scuola superiore a fare da sfondo ad una tragedia contemporanea, dall’altro un antichissimo dramma di violenza familiare e di scontro generazionale. Vom Licht sembrava essere perfetto per aggiungere una terza anta a questo trittico dove famiglia, educazione, sacro e violenza si compenetrano. Il romanzo però non era edito in Italia, quindi il processo sarebbe stato lungo, c’era innanzitutto da tradurlo e poi procedere ad una riflessione sull’adattamento. Così nel frattempo abbiamo messo in cantiere altre produzioni: la versione tedesca con cast tedesco di Sokrates der Überlebende e Germania realizzato durante il lockdown dell’anno scorso».
I protagonisti del romanzo Adam e Manda crescono in una fattoria isolata, i loro genitori adottivi sono religiosi e condannano il materialismo. In che modo questo anti-materialismo diventa una battaglia ideologica all’occidente? E come intendete trasportare questa guerra in scena?
«Prima di tutto va detto che nel tempo intercorso tra quando il romanzo è uscito, quando lo abbiamo letto e quando sono iniziate le prove la pandemia ha cambiato il mondo. Tutti noi abbiamo sperimentato personalmente l’isolamento, forzato o desiderato, e siamo stati e siamo tutt’ora testimoni di continue divisioni sociali e radicali isolamenti di gruppi per dichiarati motivi ideologici in nome di una nuova avversione per la scienza. I gruppi si accusano reciprocamente di atteggiamenti fideistici, di non mettere in atto principi di verifica nella ricerca della verità. Tutto questo sullo sfondo di un capitalismo aberrato e in evidente stato di crisi, mentre il pianeta è pronto al collasso. L’apocalisse nihilista del romanzo ha anticipato molte di queste questioni e oggi si carica di nuovi livelli di lettura. L’arte si dimostra una volta di più profetica. Il gruppo familiare nella nostra scena sembra essersi costruito una zattera, un’arca della salvezza per separarsi dal resto del genere umano, per rifiutare il materialismo, in attesa del diluvio. All’interno dell’arca però, come un Alien, sopravvivono i principi di supremazia ed annientamento inscritti nel DNA occidentale, e il diluvio finirà per esplodere dentro la casa stessa».
Ciò che va in scena è anche una riflessione sui temi della famiglia, dell’infanzia e dell’educazione, temi che vi sono cari da sempre?
«La famiglia, anche quando non dominata dalle logiche del sangue come quella del romanzo, resta una cellula sociale tanto fondamentale quanto problematica se non aperta alla relazione con il mondo. Ogni gruppo sociale troppo chiuso è destinato a derive pericolose. In questo senso l’educazione, la trasmissione del sapere e dei valori, la formazione della libera coscienza, è insieme la chiave e la grande tragica questione perché i bambini rischiano di giocarsi la salvezza o la condanna, come l’eredità della colpa nelle società arcaiche. Se in Sokrates der Überlebende questo problema era affrontato nell’ambito della scuola pubblica, incaricata dal sistema di educare i ragazzi, in Vom Licht il cerchio si stringe attorno alla famiglia e alle sue responsabilità. In entrambi i casi, deliberatamente estremi ma non inusuali, si osserva lo sprigionarsi della violenza. È il massacro».