Concerto di danza con Mario Stefano Pietrodarchi bandoneón e fisarmonica
E i danzatori del Balletto di Roma
Concept Luciano Carratoni
Coreografia Valerio Longo
Musica Astor Piazzolla
Arrangiamenti e musiche originali Luca Salvadori
Light designer Carlo Cerri
Costumi Silvia Califano
Regia Carlos Branca
Produzione Balletto di Roma
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 19 al 25 dicembre 2022
In tanti ritengono il tango un ballo. E non si può dar loro torto, visto che a lungo lo si è praticato come tale e nello stesso modo visto in teatri e locali ad hoc.
I più avveduti hanno sempre visto nel tango un momento particolare nel quale ha luogo un corteggiamento d’anime che si percepiscono e, riconosciutesi nella loro autenticità, si uniscono in modo dinamico, mai statico. Un’unione che non si risolve mai in corrispondenza perpetua, stabile; ma sempre in un abbraccio pronto a separarsi per poi, nuovamente, tornare nell’unione di poco prima ma in modi sempre diversi. Un sovvertimento radicale del concetto paolino di amore: perché, più che inveramento nell’altro, qui si respira la simultaneità metamorfica dell’individuo. Attraverso il tango, ci si rende consapevoli della propria dinamicità. Unico esempio che mi viene alla mente, sebbene improprio ma che concettualmente meglio si avvicina all’essenza del tango, è la mente di Ulisse, non a caso definita “colorata”. Ulisse si conosce man mano che vive avventure e disavventure, senza soste perpetue: solo approdi prolungati, ristori che preludono a nuove partenze e successivamente a nuovi sbarchi.
Astor. Un secolo di tango in scena in questi giorni al Quirino, suggerisce tutte queste considerazioni. Uno spettacolo sul tango, più che di tango. Difatti, al di là delle musiche – meravigliose – di Piazzolla, suonate divinamente da Mario Stefano Pietrodarchi, i danzatori del Balletto di Roma, disegnando coreografie sensuali, sinuose, avvolgenti, eleganti, ricche di consapevolezza e delicatezza, hanno ben comunicato il concetto dell’essenza del tango cui si accennava poc’anzi.
Sfondo dello spettacolo è, non a caso, il mare: luogo che avvicina ma che allontana; spazio di separazione ma anche di unione, dove ci si perde e ci si ritrova. Un “non luogo” privo di territori e confini. E sono proprio queste le costanti coreografiche che i danzatori in scena continuamente propongono: prossimità e allontanamento. Due opposti che finiscono per stemperarsi al punto da non distinguere più l’uno e l’altro in modo netto. Al punto da non decidere, nel senso etimologico della parola di “tagliare, separare”.
Ovvio che tutto questo non esclude la sofferenza dell’individuo, così come la gioia. Entrambi sono sentimenti che appartengono all’uomo e ne costituiscono la sua cifra specifica, ineludibile.
E non a caso, oltre alla fisarmonica, lo strumento che permea di sé tutto lo spettacolo è il bandoneón che simboleggia, nella poetica del tango, il cuore: centro propulsore di ogni energia vitale e del ricordo. E di tale metafora, Pietrodarchi si è reso interprete sublime, diventando – a tratti – egli stesso bandoneón e fisarmonica.
Uno spettacolo sublime, questo Astor. Dove il pubblico ha potuto immergersi, fino a perdersi, per poi fare ritorno in altro modo da come tutto era iniziato.
Conoscersi, in fin dei conti, è prima un disconoscersi per poi tornare a riconoscersi.
E questa, dopotutto, è la vera ed unica essenza del tango.
Pierluigi Pietricola