progetto- studio di Bassam Abou Diab, Andrea Fahed
con Bassam Abou Diab, Andrea Fahed
coreografia di Bassam Abou Diab, Andrea Fahed
in collaborazione con Beirut Physical Lab
rassegna Danza in Rete Off 2023
Ridotto del teatro Comunale, Vicenza 16 marzo 2023
Salma è un bel nome arabo che richiama al concetto di sicurezza di se stessi ma in una chiave ancora più poetica, che mette assieme il concetto di pace interiore, tranquillità. In certe parti del mondo è abbastanza usato e nota, nel campo cinematografico, è l’attrice messicana Salma Hayek. In contrapposizione forte, paradossalmente inquietante, in italiano il significato cambia completamente, certificando il corpo di chi è mancato, acquisendo pur nella sua logica un aspetto che appare in qualche modo sinistro. In questo spettacolo visto a Vicenza nell’ambito di “Danza in Rete 2023”, Salma prende il primo dei significati, un nome che nel destino porta inesorabilmente la parola fine della propria esistenza, pur nell’allargata visione di un certo momento di liberazione, che affronteremo dopo. Salma infatti è un ricordo emozionante che il coreografo e danzatore libanese porta nel cuore e in questo caso anche sulla scena, di una zia, davanti a un’attenta platea quanto meno curiosa, che non sa cosa attendersi vista la durata esigua scritta sulle note della rappresentazione. E’ un progetto-studio che Diab, assieme alla collega Andrea Fahed, ha elaborato e sente di dover trasmettere, un modo di narrare il così chiamato delitto d’onore, che in alcune zone del mondo tanto semina. Nemmeno l’Italia fino ad alcuni decenni fa ne era sprovvista e, sebbene il mondo in un certo senso stia andando avanti a folle velocità per certi versi ritorna indietro, e anche nel nostro Paese aleggia ancora, talvolta questa presenza. La “Salma” dei due coreografi e danzatori libanesi è un omaggio e un ricordo, appunto della zia di Diab, come detto, mai incontrata né conosciuta dal protagonista ma portata dentro sé in un’immaginazione fortemente determinata, a volerle rendere giustizia. Salma era stata designata dalla famiglia per un matrimonio combinato ed ebbe due figli. Ma a quel sistema dopo un po’ si era ribellata, scegliendo un nuovo compagno e abbracciando una nuova religiosità, per cui fu deciso di eliminarla. E lo fece il fratello, attirandola in un agguato e, a suo modo di vedere, salvando l’onore della famiglia originaria. Fa impressione dover ancora oggi anche solo pensare a una cosa del genere, a pensare di decidere sulla sorte di un individuo. In scena va la paura, il corpo ribelle. Che ha l’anticipazione di una vita per così dire normale, che parte dal sorriso che lentamente si trasforma in una smorfia continuata, un rabbrividire per ciò che simbolicamente avverrà. E’ la Salma di Andrea Fahed a impersonare tutto ciò, con tremolii sempre più forti e la tranquillità iniziale che va spegnendosi. E’ la sofferenza, il dolore percepito che arriva, si impossessa del corpo, della mente. E’ uno sbattersi fisicamente e psicologicamente in preda a chiara angoscia quando tutto sta per accadere, con buona pace di chi materialmente compirà l’omicidio. L’uomo che le sta accanto in quei momenti si muove tronfio e pavoneggiante, in una danza che si avvia verso il macabro destino della ragazza, un mettersi in posizione di sopraffazione. Due corpi che sono uno di fronte all’altro, il vincitore e il vinto. Ma nella perdita della vita la memoria della donna non muore, perché da morta Salma è viva grazie alla forza dimostrata di non piegarsi, e di decidere su se stessa, qualora fosse, ed è, anche la morte. I foglietti distribuiti al pubblico all’inizio, ove scrivere le parti del corpo vibranti di ognuno quando si prova la paura, vengono messi in pratica con una danza coinvolgente tutti, un saltare in qualche modo liberatorio, uno slancio verso il divino, l’assoluto, fino alla caduta fisica completa. Tutto è fine ma è inizio e rinascita, pensiero nell’aere, memoria. Nel senso della coreografia è presente anche la componente dell’indagare la qualità del movimento, lo scuotere del corpo, la reazione dello stesso di fronte alla paura. La reazione, appunto, non l’immobilismo. Applausi caldi dagli spettatori.
Francesco Bettin