Gauthier Dance • Theaterhaus Stuttgart
coreografie Aszure Barton, Sidi Larbi Cherkaoui, Sharon Eyal & Gai Behar, Marco Goecke, Marcos Morau, Hofesh Shechter, Sasha Waltz
musiche Craig Taborn, Alexandre Dai Castaing, Anne Müller, The Velvet Underground,
Jesse Callaert, Juan Cristóbal Saavedra, Hofesh Shechter, Diego Noguera Berger
direttore artistico Eric Gauthier
maestri di balletto Cesar Locsin, Luis Eduardo Sayago
responsabile di produzione Inga Kunz
gestione tecnica di produzione Mario Daszenies, Holger Reuker
coordinamento artistico e costumi Gudrun Schretzmeier
scenografia Mario Daszenies
musica e interludi sonori Victoria Hillestad & Julian Erhardt / [sic]-studios
company coach Egon Madsen
tour management ecotopia dance productions
danzatori Bruna Andrade, Joaquin Angelucci, Nora Brown, Andrew Cummings, Anneleen Dedroog, Barbara Melo Freire, Luca Pannacci, Garazi Perez Oloriz, Jonathan Reimann, Mark Sampson, Gaetano Signorelli, Izabela Szylinska, Sidney Elizabeth Turtschi, Shawn Wu, Shori Yamamoto
una produzione Theaterhaus Stuttgart in co-produzione con La Biennale di Venezia Festspiele Ludwigshafen – Theater im Pfalzbau in cooperazione SWR / ARTE & EuroArts
Teatro Ariosto Reggio Emilia 10 febbraio 2023
Per Gauthier Dance Company Theaterhaus Stuttgart sette importanti coreografi di fama mondiale hanno trascritto col lessico coreutico i sette peccati capitali ed hanno dato vita ad un’opera che è una successione di quadri firmati rispettivamente da Aszure Barton, Sidi Larbi Cherkaoui, Sharon Eyal, Marcos Morau, Sasha Waltz, e dai due coreografi associati di Gauthier Dance Company Theaterhaus Stuttgart, Marco Goecke e Hofesh Shechter, nomi che non hanno bisogno di presentazione. Il risultato è stato un sorprendente mosaico di immagini assemblato a sette mani in un grande tableau ricco di metafore elaborate in maniera astratta. Il lessico con cui sono stati espresse le coreografie è stato ora cupo, ora esuberante, ora minimalista ora iconoclasta, a volte più didascalico, altre simbolico o evocativo e la fluidità narrativa della performance è stata totale, passata dal balletto neoclassico e moderno al teatro danza. Come unica scenografia una figura geometrica sullo sfondo formata da sette punti che uniscono altrettanti angoli.
L’affresco si apre con l’Avarizia indagata da Sidi Larbi Cherkaoui, che la presenta quale forza trainante del nostro mondo. Con movimenti sinuosi e via via più aggressivi nove danzatori in abiti da manager disegnati di banconote cercano di accaparrarsi l’oggetto bramato trasformato infine in carta che brucia e lascia solo il fumo nello stile di movimento estremamente morbido e fluido di Sidi Larbi. Una voce fuori campo palesa quello che già la danza mostra e risulta assolutamente superflua.
L'Accidia è affidata a Aszure Barton che usa connotazioni e immagini fugaci per caricare di significato il linguaggio del passo a due che porta i ballerini verso un'oscurità misteriosa seguita da una brillante ironia. C’è l’oscillazione costante tra sogno e realtà in questo passo di danza, spesso raccontata con caratteri surreali. I due danzatori in nero si contagiano a vicenda, trasmettendosi un torpore che blocca i loro movimenti a terra.
La Superbia per Marcos Morau e il suo linguaggio narrativo si compone di immagini, quadri accattivanti, una danza sinestetica che sconfina nel teatro. Cinque danzatrici in lunghi abiti, annunciate dal suono di tamburi, si muovono all’unisono. Sono altezzose, con movimenti spigolosi e le bocche teatralmente spalancate, agguerrite e scattanti si piegano a terra illuminate dalla luce al neon. La sincronia non sempre perfetta del quintetto non inficia la narrazione.
La Gola è rappresentata da Marco Goecke attraverso un assolo sulla canzone “Heroin” di Lou Reed. La golosità a cui pensa non si riferisce al cibo ma dichiaratamente alla droga, che schiavizza la persona fino allo stordimento. La gestualità nervosa e rapida è assolutamente riconoscibile: il corpo del ballerino vola, si contrae e trema in un lirismo improvviso sottolineato dal minimalismo dei costumi.
La Lussuria è rappresentata da Hofesh Shechter. Dieci danzatori con costumi bianchi scivolano con le mani sui reciproci corpi. Sinuosi, si contorcono ed esplodono poi questo turbinio ritmato si blocca improvvisamente. Questa coreografia è letteralmente un’esplosione. La rabbia brucia i ballerini irrequieti: aggressività, caos e desiderio frenetico si spandono come un vento furioso e la coreografia è un susseguirsi di passaggi tra una danza tribale e una raffinata pulsazione ritmica.
L’Ira è affidata a Sasha Waltz. Il suo passo a due mostra una coppia rabbiosa, urlante, che esegue corse violente verso il partner indifferente. In modo audace e ruvido questa coreografia mostra la violenza con estrema espressività e affidandosi ad una fisicità esasperata. L’illiminazione fatta di brevi lampi nel buio e luci stroboscopiche ne sottolinea gli spostamenti violenti da un punto all’altro del palcoscenico, che accrescono la tensione della performance.
L’Invidia coreografata da Sharon Eyal dimostra il potere ipnotico del sincrono e l'incredibile dinamica delle variazioni seriali della sua narrazione. Le tre danzatrici sono combattive ed eleganti nei movimenti. In una sequenza ritmata da passi in mezze punte si alternano sfidandosi in coppie contrapposte che si formano escludendo ciclicamente la terza componente, con cambiamenti minimi di ritmo.
Così i diversi linguaggi dei coreografi e le rispettive diverse estetiche sono confluite in uno spettacolo sucuramente coinvolgente anche se questa operazione non è sembrata del tutto riuscita, forse per la mancanza di un collante formale fra le sette coreografie, un tessuto comune che compattasse lo spettacolo.
Giulia Clai