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TWENTY-SEVEN PERSPECTIVES - coreografia Maud Le Pladec

"Twenty-seven perspectives", coreografia Maud Le Pladec. Foto Konstantin Lipatov "Twenty-seven perspectives", coreografia Maud Le Pladec. Foto Konstantin Lipatov

di Maud le Pladec
Performance per 10 danzatrici e danzatori
Creazione 2018
Ideazione e coreografia: Maud Le Pladec
Disegno luci e scene: Éric Soyer
Sound design: Pete Harden basato su Franz Schubert, Symphony Unfinished No.8
Costumi: Alexandra Bertaut
Assistente: Julien Gallée-Ferreé
Interpretato da: Régis Badel, Amanda Barrio Charmelo, Olga Dukhovnaya, Jacquelyn Elder,
Simon Feltz, Maria Ferreira Silva, Aki Iwamoto, Daan Jaartsveld, Louis Nam Le Van Ho, Noé Pellencin
Sostituzioni: Matthieu Chayrigues, Jeanne Stuart
General manager: Fabrice Le Fur o Steven Le Corre
Manager luci: Nicolas Marc o Mathieu Landré
Sound manager: Vincent Le Meur o Périg Ménez
Foto ©Konstantin Lipatov
Videos ©Julie Pareau
Produzione: Centre chorégraphique national d’Orlèans
Coproduzioni: Chaillot – Théâtre national de la danse, Festival Montpellier Danse 2018, Festival NEXT / Schouwburg Kortrijk & le Phénix scène nationale Valenciennes pôle européen de création, La Briqueterie – CDCN du Val de Marne, MC2:Grenoble
Auditorium Parco della Musica di Roma 1 e 2 ottobre 2022

www.Sipario.it, 8 ottobre 2022

La creazione coreografica di Maud le Pladec Twenty-seven perspectives, in scena l’1 e il 2 ottobre all’Auditorium Parco della Musica di Roma, non è certo definibile in poche e coincise parole. Con lavori come questi chi scrive di danza diventa spesso sospetto del potere della parola, che a volte rimanda a significati univoci, categorizzazioni che lasciano poco spazio all’immaginazione e all’interpretazione libera di cui l’arte è il corpo stesso.
La coreografa francese ha definito il suo lavoro formale ed astratto insieme. È certo che vi è una relazione letterale tra la Sinfonia incompiuta No.8 di Schubert, da cui le Pladec parte per generare la composizione coreografica, ed il movimento dei danzatori. Eppure le quasi impercettibili, seppur costanti variazioni ritmiche, generano ambivalenza, dissonanza udibile musicalmente e visibile coreograficamente. Questo caos, però, è accompagnato da attimi di solidarietà, gesti di pace, sguardi di giocosa sfida… qui, tutto nello stesso spazio, come se questa fosse una sola, integra opera musicale. Invece, come suggerisce il titolo, non è una, ma ben ventisette le prospettive, le variazioni della Sinfonia di Schubert ad opera dal musicista Pete Harden, con cui le Pladec collabora traducendo musica in movimento.
Danzatori in abbigliamento sportivo entrano in scena e con decisione si fermano, proiettando sguardi solenni. La solennità, supportata dalla musica classica, è contrastata dal richiamo a un’estetica atletica e competitiva tra i danzatori, come complici avversari. La musica di Schubert innalza i danzatori fino a renderli quasi irraggiungibili, solo per rompere improvvisamente questa tensione con movimenti istintivi, spesso geometrici, che riconosciamo in sequenze ripetitive che fanno muovere i giocatori solisti dappertutto. E così inaspettatamente si manifestano squisiti unisoni che saziano, seppur momentaneamente, il bisogno dei spettatori di trovare armonia. Gli affaticati danzatori, poi, entrano ed escono dal palco lasciando giacche o pantaloni ai lati, come se questo fosse una vera competizione in un vero campo di gioco. La dinamicità delle pause e riprese del gioco, una danza virtuosa e tridimensionale, ci tiene appesi finché non veniamo lasciati con il nulla, il vuoto di uno spazio silenzioso su cui è proiettata una luce soffusa. Così… ricominciamo a respirare.
Abbiamo il tempo di immergerci in una prospettiva astratta e contemplativa, che ci porta ad immaginare limiti di confini spazio-temporali, oltre il luogo fisico in cui siamo. Per un attimo ho pensato al perché dell’andare a vedere uno spettacolo. In un mondo con crisi di ogni natura, credo che moriamo dalla voglia di provare qualcosa di diverso. Di sentire, attraverso l’arte, emozioni che non sono apparentemente nostre ma in cui speriamo di riconoscerci, per poi viverle come se fossero realmente nostre.
Dal parterre vediamo i danzatori alzarsi, come chiamati a finire il loro gioco. Per terminare un’azione, come finire la Sinfonia incompiuta di Schubert, dopotutto, non bisogna far altro che rimetterla in moto. Paradossalmente, bisogna agire per finire. Allo stesso modo, i danzatori riprendono il loro tentativo di portare a termine questa opera: salgono e scendono dal palco, sedendosi “in panchina” per poi tornare in campo, in continuazione. Gli spettatori cominciano a prevedere, quasi desiderare un finale, ma il costante ricominciare dei danzatori esprime un senso di continuità che va oltre la performance stessa. Seppur lo spettacolo finisca, l’opera, allora incompiuta, resta tale poiché i danzatori hanno innescato un meccanismo di nuovi e infiniti inizi. Così, mentre il buio pervade lentamente il palco, i danzatori continuano a girare sul loro asse con braccia tese a novanta gradi, generando infinite traiettorie circolari che ci fanno desiderare di essere con loro, in questo stato di continua infinità dove non esistono fini, ma solo inizi.

Maria Elena Ricci

Ultima modifica il Lunedì, 10 Ottobre 2022 18:13

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