direttore Alejo Pérez
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Programma
Richard Wagner
Rienzi Ouverture
Dmitrij Šostakovič
Sinfonia n. 5 in re minore, op. 47
Teatro dell’Opera di Roma Stagione 2020/2021
La fantasia degli argentini è straordinaria, coraggiosa, eccentrica a suo modo. Essa non si rifugia in mondi fittizi che nulla condividono col nostro, ma in quest’ultimo ricercano l’elemento magico. Ciò che crea una realtà tutta folletti e magia, dove non ci si sente estranei ma sempre in perfetta sintonia. Alejo Pérez, giovane e virtuoso direttore d’orchestra argentino, aderisce in pieno a questa tradizione. Nel suo concerto all’Opera di Roma dal programma entusiasmante (L’Ouverture del Rienzi di Wagner e la Sinfonia n. 5 di Šostakovič), vi è una ricerca alchemica del suono che rammenta la carovana di zingari dal magico segreto raccontata in Cent’anni di solitudine.
Tanto in Wagner che in Šostakovič, Pérez individua quelle gemme, quei lapislazzuli le cui tinte danno un colore unico e irripetibile. E così del compositore tedesco non è la sua maestosità a colpire e impressionare, ma le sue particolarità (caratteristica già felicemente notata da Mario Bortolotto). E del grande musicista russo è il coraggio, la forza vitale, la padronanza d’una tradizione – giusta e imprescindibile premessa per innovare – che richiamano alla memoria le ardite follie di Voland nel Maestro e Margherita.
Tutto questo Pérez lo fa emergere dalle due partiture attraverso uno stile semplice, piano, privo di bislaccherie. Un po’ come la scrittura di Borges, razionale e senza ricercatezze. Semplice il gesto: temperato, pieno di equilibrio e senso della misura. Si può osare nell’affermare che ci si è trovati a cospetto di una direzione rabdomantica. Non tutto, in una partitura, è musica; e non ogni nota è musicale. Caratteristiche, queste, che si raggiungono solo in alcuni felici momenti e che poi s’irradiano, seguendo vie misteriose. Pérez, in questo concerto, è andato alla ricerca della sorgente della musicalità in Wagner e Šostakovič. E come un redivivo John Dee, l’alchimista raccontato da Meyrink, si mette a lavorare il suono per estrarne la parte immutabile, la sua pietra filosofale. Questa la ragione per la quale, pur così distanti per stile ed epoche, Wagner e Šostakovič appaiono vicini, simili e affini.
Sotto la bacchetta di Pérez entrambi hanno sfoggiato un vitalismo che deriva da un perpetuo stupore dell’uomo di fronte al mondo. E di quest’ultimo tutto viene tramutato in poesia, perché esso è poesia. Ecco la connessione, l’intelletto d’amore che ha permesso al nostro direttore di trovare quanto di argentino, in termini di tradizione culturale e visione del mondo, vi è in due musicisti coraggiosi e innovatori quali Wagner e Šostakovič.
Musica che è sgorgata dai meandri della terra e che ha vibrato con armonici precisi e rotondi; strumenti le cui note, appena suonate, subito si tramutavano in colori e barbagli di luce; ironia, presente anche nei momenti di maggior pathos, ben evidenziata così da rendere in modo appropriato la grandezza del classico. Questo è Alejo Pérez, il cui podio finisce per trasmutarsi in un borgesiano aleph dal quale tutto osserva e dirige.
Pierluigi Pietricola