Antonio Vivaldi
Missa Sacrum Rv 586 (Ahn 112)
Jean-Joseph Cassanea de Mondonville
Coeli enarrant gloriam Dei
Direttore Ildebrando Mura
Soprano Carla Ferrare
Mezzo Soprano Nicoletta Turliu
Alto Antonello Dorigo
Tenori Renato Moro e Jaime Navarre
Baritoni Massimo Di Stefano e David Maria Gentile
Ambassade de France Près Le Sainte-Siège
Pieux Établissements de la France À Rome et À Lorette
Orchestra e Coro della Cappella Ludovicea
25 maggio 2021
È un magnifico e soleggiato tramonto romano quello che si gode dalla piazza dove troneggia la chiesa di Trinità dei Monti. Un vento modesto e fresco stempera le prime temperature calde che preannunciano l’estate ormai alle porte. Le campane della chiesa rintoccano come per dire che è ora di accomodarsi, prendere posto perché il concerto sta per iniziare.
Il programma è quanto di più succoso si possa immaginare. S’inizia con la Missa Sacrum Rv 586 (Ahn 112) di Antonio Vivaldi (per la verità attribuita al compositore delle Quattro stagioni), per finire con Coeli enarrant gloriam Dei di Jean-Joseph Cassanea de Mondonville.
Coro e orchestra sono posizionati al centro della navata centrale della chiesa di Trinità dei Monti, fin quasi sotto l’altare. Sono vestiti di tutto punto: abito scuro su camicia bianca e – segno distintivo e chic – un papillon in luogo della cravatta.
Quando iniziano le prime note della musica di scuola vivaldiana, tutta la chiesa diviene una grande cassa armonica che amplifica il suono degli strumenti e le voci, bellissime, del coro. Preziosità della serata, che raramente s’incontra in un concerto di musica classica: la presenza di un alto – o contraltista –, la cui voce rammenta, per la sua sonorità, quella di una donna. Elémire Zolla o Robert Graves avrebbero interpretato questo fatto come un segno metafisico attraverso il quale l’androgino si presentava, ricordando la sua esistenza, all’uomo moderno. Per noi, invece, la voce di Antonello Dorigo, ben modulata e limpida, tanto in Vivaldi quanto in Cassanea de Mondonville, ha rievocato le tipiche atmosfere barocche, tutte colori, guglie, esagerazioni, vivacità, accostamenti bislacchi: epoca estrosa e coraggiosa.
Di tutto questo, Vivaldi in particolare fu testimone e interprete. Proprio lui, che nella musica impresse quella gran voglia di vivere e di movimento che sempre caratterizzò la sua esistenza. Il Prete Rosso, o chi in sua vece, che in suoni che corrono e si rincorrono svelò il segreto della vita come la macchina d’un orologio vista attraverso il vetro della cassa, tinse di colori sgargianti ma mai fuori luogo anche ciò che per l’epoca doveva essere evocato in modo tutt’altro che giocoso e leggero: il tema religioso. La Missa vivaldiana è vitale, al punto che si dimentica la ragione primaria per la quale venne scritta. Così come la composizione Coeli enarrant di Cassanea de Mondonville è austera, più compatta rispetto a quella di Vivaldi, ma mai squadrata e conchiusa. Simili per tema, agli antipodi per stile, i due autori mostrano all’orecchio qualche affinità non del tutto bislacca.
Un po’ rigida, a tratti scolastica, la direzione di Ildebrando Mura. Gli sono mancate le doti che si attendono da una direzione: quel coraggio interpretativo che imprime alle note sulle partiture suoni diversi che, di interpretazione in interpretazione, finiscono per compiere l’opera creata dal compositore. Non interpretazione, quella di Mura, ma una buona esecuzione, scrupolosa ed accurata.
Pierluigi Pietricola