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LO SPOSO DI TRE, E MARITO DI NESSUNO - regia Cesare Lievi

"Lo sposo di tre, e marito di nessuna", regia Cesare Lievi. Foto Michele Monasta, Maggio Musicale Fiorentino "Lo sposo di tre, e marito di nessuna", regia Cesare Lievi. Foto Michele Monasta, Maggio Musicale Fiorentino

Dramma giocoso in due atti
Libretto di Filippo Livigni
Musica di Luigi Cherubini
Don Pistacchio Fabio Capitanucci
Donna Lisetta Sara Blanch
Don Martino Ruzil Gatin
Donna Rosa Arianna Vendittelli
Don Simone Alessio Arduini
Bettini Benedetta Torre
Folletto Giulio Mastrototaro
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Diego Fasolis
Regia Cesare Lievi
Scene e costumi Luigi Perego
Luci Luigi Saccomandi
Nuovo allestimento
Teatro del Maggio, Auditorium Zubin Mehta – Stagione 2021/22
Sala Zubin Mehta 6 febbraio 2022

www.Sipario.it, 9 febbraio 2022

Era stato programmato come titolo inaugurale del Festival del Maggio nell'aprile 2020, rimandato per la pandemia, riproposto nella stagione lirica 2022, trasferito nell'Auditorium Zubin Mehta, ma con le prime due date saltate per contagi del cast: finalmente in scena per 3 date, sulle 5 programmate, portate a conclusione. Questo è il tormentoso percorso che ha avuto l'allestimento dell'opera Sposi di tre marito di nessuna che Luigi Cherubini compose, giovanissimo a 23 anni, nel 1783 per il Teatro San Samuele di Venezia. Abbandonata nell'immediato, nonostante il successo, solo dopo poche recite, non fu mai più ripresa. Ricomparve in tempi moderni nel 2005 al Festival della Valle d'Itria, in edizione critica. Fu riposta nuovamente nel cassetto, sorte che accomuna tante opere dei compositori di inizio Ottocento e adesso recuperata nuovamente qui a Firenze.
Scritta su libretto di Filippo Livigni, del quale si conosce ben poco della vita, ma poeta attivissimo tra i vari teatri della laguna, tratta della classica commedia farsa, condita di equivoci, scambi di persona, schermaglie d'amore, interesse per denaro. Ricca di personaggi comici con tre baritono, tre soprani e un tenore. Già dalla composizione dei personaggi si presume che qualcuno rimanga escluso dal gioco delle coppie: si tratta infatti di una situazione da farsa, ben spiegata dallo stesso titolo, di un matrimonio, non riuscito, costruita intorno alle peripezie del ritratto di una bella signora promessa sposa. Tre donne che si fanno beffe di un nobile, desideroso di accasarsi e che, alla fine, si ritroverà ad essere appunto “il marito di nessuna” donne che si prendono gioco, con relativi complici, del povero pretendente sposo Don Pistacchio, che combina un matrimonio a distanza con un baronessa, Donna Rosa, a lui ignota. Da qui nasce il raggiro da parte di una coppia in gioco, Don Martino e Donna Lisetta, due fratelli senza scrupoli che cercano di mandare in fallimento tale matrimonio per convenienza economica e per vendetta, attuato con un abile scambio di ritratti da mostrare all'incauto pretendente. Non manca il ciarlatano da strada, con la sua compagna di avventura, la cantante Bettina, che si inserisce nelle sceneggiate ideate ai danni dell'ingenuo e sciocco Don Pistacchio. Parte della farsa, anche lo zio del promesso sposo, Simone, personaggio non affatto secondario che cerca di districarsi dai guai causati dal nipote ma anche lui alla fine partecipe appieno dei raggiri riuscendo ad accasarsi a danno proprio del nipote. Ricca di situazioni sceniche al limite del “nonsense” che ha il suo apice nella la scena truffa della rievocazione della profezia della finta Sibilla Cumana abilmente giocata da una complicità collettiva tra parole senza senso e travestimenti. Un'opera che nel suo insieme ci restituisce una parodia del mondo dell'opera seria in auge in quella fine di Settecento, per l'uso ambiguo di citazioni dall'arcadia poetica e ad un comico che viene utilizzato in una sottile presa in giro del mondo nobiliare che non è più tale, facile preda di un mondo senza scrupoli e approfittatore dell'ingenuità altrui.
Il tutto si svolge in due atti per complessivi 23 numeri musicali e un gran numero di arie (8 nel primo atto; 6 nel secondo) con pochi assiemi, un quintetto, finale primo e finale secondo e duetti legati assieme da recitativi secchi, il tutto per quasi tre ore e mezza di musica. Pur collocandosi nell'ambito dell'opera buffa si presenta con una struttura musicale complessa e impegnativa, con un gusto rimarcato del contrappunto nei numeri d'assieme, con un fantasmagorici finali, ampie parentesi liriche, ricerca timbrica, con fraseggi ben scanditi e un rimando continuo a una costruzione compositiva e di stile che transiterà negli anni immediatamente seguenti. Sono le donne, tre soprani, che hanno le parti più complesse, ognuna con una loro personalità. Estremamente di coloratura è Donna Lisette, che Cherubini assume al ruolo di prima donna, ben definita da Sara Blanch nel dare voce alle arditezze vocali a cui è chiamata nel suo Rondò "Dolce fiamma del mio cuore" nel secondo atto, eseguita su tempo rapido, dimostrando la giusta sfrontatezza nel ruolo di tessitrice d'inganni. Donna Rosa è delineata dal soprano Arianna Venditelli rimarcando la sua vocalità sopranile ma ombrosa che si adatta perfettamente al carattere in qualche modo nobile del personaggio ma sostanzialmente ambiguo. Benedetta Torre delinea una Bettina vocalmente spigliatissima e sfrontata e ambigua nel condurre l'inganno fino all'ultima scena.
Sul versante maschile l’opera di Cherubini ha potuto contare sulla presenza di artisti in possesso della giusta vis comica, capaci di ricostruire tutti le varie sfaccettature richieste dall'andamento musicale. Il baritono Fabio Capitanucci come Don Pistacchio si impone in una parte dove è richiesto fraseggio chiaro e sostenuto anche nelle parti di canto e soprattutto nell'uso di un sillabato ricco di incastri di parole. L'ambiguo Don Martino era affidato al tenore Ruzil Gatin, voce di grazia, che ha dimostrato di possedere di acuti facili e una espressione di canto molto chiara. Ben caratterizzato il ruolo di Don Simone dal giovane baritono Alessio Arduini partecipe alla fine al gran turbinio di cambi di situazioni tra le parti; Folletto di nome e di fatto, il baritono Giulio Mastrototaro, l'unico tra gli interpreti, con ruolo diverso, proveniente dall'esperienza di Martina Franca, pienamente a suo agio nei giochi di comicità più farsesca, come la magistrale scena del camuffamento nella profezia, ma senza perdere la linea del canto e il senso della della commedia. Il tutto gestito, visto anche le traversie della messinscena, dall'abilità interpretativa di Diego Fasolis a capo dell'orchestra del Maggio Musicale in organico ridotto e collocata nella buca del nuovo Auditorium. Da esperto di opera barocca è riuscito a dare il giusto sostegno alla ritmica delle voci senza prevaricare sulle voci, gestendo con il fortepiano sia i recitativi che i numeri musicali in un giusto equilibrio tra una persistenza di gusto della tradizione dell'opera buffa ma solleticando l'ascoltatore con ciò che c'è di nuovo e di inedito nella partitura di Cherubini, che diventerà prassi per le composizioni successive.
La regia di Cesare Lievi tiene parte a questo incrocio di situazioni declinandole sul lato di commedia comica ma non farsa, accentuando le entrate dei personaggi: Folletto che entra in scena dalla platea con i suoi bauli, Lisetta sul piccolo cocchio, mentre Martino è costretto a stare dietro con i bagagli. Fa emergere quella che è sostanzialmente una sottile parodia sul teatro e i generi musicali. Scena adattata alle dimensioni dell'Auditorium (scene e costumi di Luigi Perego) costituita da cornici che perneano su se stesse, ricreando vari fondali che, combinati in alcuni momenti in una vorticosa rotazione, ricreano effetti ottici da caleidoscopio a sottolineare l'allegra confusione e illusione di ciò che accade in scena. Interessante inizio al momento della sinfonia a sipario aperto, con figure umane, mimetizzate sul muro di scena che progressivamente si distaccano dal fondo per acquisire la tridimensionalità. Saranno loro in tute mimetiche a dar forma al giardino, ad essere servitori nel gran pranzo di nozze, a trasformarsi in personaggi mitologici in una sorta di parodia dell'Arcadia con tanto di cherubini freccianti. Costumi che rievocano un'ambientazione anni'50 che non toglie assolutamente nulla al gusto musicale e alla definizione culturale di un epoca di trasformazione come fu la fine del '700.
Successo convinto con applausi a scena aperta da parte del pubblico che ha quasi esaurito, nella la recita pomeridiana, il grande auditorium del Maggio, certo situazione di ripiego per l'opera, ma alla fine, meno dispersivo e più raccolto, che ha dato giusta risonanza al complesso musicale e vocale.

Federica Fanizza   

Ultima modifica il Giovedì, 10 Febbraio 2022 00:17

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