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CHIARA E SERAFINA – regia Gianluca Falaschi

"Chiara e Serafina", regia Gianluca Falaschi. Foto Gianfranco Rota "Chiara e Serafina", regia Gianluca Falaschi. Foto Gianfranco Rota

Ossia “Il pirata”
Melodramma semiserio in due atti di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Prima esecuzione: Milano, Imperial Regio Teatro alla Scala, 26 ottobre 1822
Edizione sull’autografo a cura di Alberto Sonzogni
© Fondazione Teatro Donizetti
Direttore Sesto Quatrini
Regia, scene e costumi Gianluca Falaschi
Coreografie Andrea Pizzalis
Lighting design Emanuele Agliati
Drammaturgo Mattia Palma
Don Meschino Giuseppe De Luca
e con i solisti dell’Accademia di perfezionamento
per cantanti lirici del Teatro alla Scala:
Don Alvaro / Don Fernando Matías Moncada
Serafina Nicole Wacker, Fan Zhou
Chiara Greta Doveri, Aleksandrina Mihaylova
Don Ramiro Hyun-Seo Davide Park
Picaro Sung-Hwan Damien Park
Lisetta Valentina Pluzhnikova
Agnese Mara Gaudenzi
Spalatro Andrea Tanzillo
Gennaro Luca Romano
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti in collaborazione con l’Accademia Teatro alla Scala
Donizetti Opera - Bergamo, Teatro Sociale 19 novembre 2022

www.Sipario.it, 28 novembre

Non sempre le ciambelle riescono con il buco. Potrebbe benissimo adattarsi alla sorte che interessò Chiara e Serafina, melodramma semiserio che Donizetti compose su libretto di Felice Romani come debutto al Teatro alla Scala nel 1822. Non piacque, non cadde subito, si difese, ma venne abbandonata e Donizetti dovette aspettare ancora qualche anno per rientrare nel massimo teatro milanese con una opera nuova, la Lucrezia Borgia nel 1833. Il Donizetti Opera l'ha proposta con i solisti dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala sotto la direzione di Sesto Quadrini e la regia, costumi e scene di Gianluca Falaschi, riproposta in tempi moderni nella freschezza di un allestimento spumeggiante, visto l'intreccio alquanto complicato tra sparizioni, sostituzioni di persone, agnizioni finali, tra il comico e il semiserio, in mezzo a pirati e a castelli abbandonati, ricostruendo appieno la trama ricco di azioni e di movimento. La regia di Falaschi restituisce al pubblico un divertente gioco delle parti, una sorta di avanspettacolo anni Trenta, fatto di lustrini, maschere caricaturali come i manifesti d'epoca ce li ha tramandato, con tutti i trucchi per accattivarsi lo spettatore, ma con la comicità raffinata che non decade nel farsa. Un abile gioco di luci fa percepire al pubblico l'ambientazione negli antri sotterranei. 
Del resto la trama stessa porta in scena Don Alvaro (Matìas Moncada) e Chiara (Greta Doveri), naufraghi finalmente liberi dopo dieci anni di prigionia. I due si ritrovano su una spiaggia di Maiorca, soccorsi da Don Meschino (Giuseppe De Luca, che ha sostituito Pietro Spagnoli), Lisetta (Valentina Pluzhnikova) e dalla madre Agnese (Mara Gaudenzi), che ospiterà i due nel castello abbandonato di Belmonte. Sulla spiaggia sbarcano poi alcuni pirati, tra cui Picaro (Sung Hwan Park), servo di Don Fernando con cui si accorda per impedire il matrimonio di Serafina (altra figlia di Don Alvaro, che vuole sposare per riceverne l’eredità) fingendosi il padre scomparso nel naufragio. Gli esiti sono naturalmente scontati dove tutto si ricompone al meglio in gioco labirintico dentro le cisterne del castello abbandonato e dove qualche pirata, un tal Picaro, non e del tutto un farabutto ma si adatta alla sorte del momento. L'allestimento presso il Teatro Sociale, con la sua struttura storica con i segni del non finito fa proiettare lo spettatore in quel clima di partecipazione a debutti precari, come in effetti è stato per questa Chiara e Serafina. Che esito avrà questo recupero dell'autografo fatto da Alberto Sonzogni per il Festival? Una tappa di quello che è stato il percorso musicale di Gaetano Donzetti. In questa opera giovanile, il compositore sembra guardarsi attorno alla ricerca di modelli musicali: è presente Rossini nei ritmi incalzanti degli assiemi, nell'uso del sillabato, sono presenti i modelli neoclassici del canto all'italiana appreso dal suo maestro Simone Mayr. La fretta compositiva, in cui abbondano ripetizioni specie nella fase finale dell'opera, la macchinosità del libretto di Felice Romani che ricava da un dramma francese la "Citerne" ritardando la consegna del testo fino a pochi giorni dal debutto previsto segnala misura di come fosse il meccanismo teatrale dei primi dell’Ottocento a cui si dovevano sottoporre i compositori se volevano imporsi, anche a costo di insuccessi. Sostanziale invece la parte musicale che fa già intravedere alcune soluzioni tipiche delle composizioni posteriori di Gaetano Donizetti come l'uso di strumenti solistici, scambi di sezioni nelle gestione strumentale delle arie, i concertati già articolati, mediati dai modelli rossiniani, ma risolti in ampie momenti di cantabilità a più voci. Sesto Quatrini opta per la ricostruzione filologia delle sonorità originali con l'utilizzo dell'orchestra Gli Originali che prosegue l’esplorazione sugli strumenti di epoca donizettiana. Alla fine si sorride, si applaude sinceramente alle singole arie degli interpreti costruite sapientemente da Donizetti sulle caratteristiche dei personaggi. Gli artisti dell'Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala hanno dato ampia dimostrazione delle loro qualità di un collettivo ben amalgamato in tutte le componenti. Meritano attenzione e rispetto.

Federica Fanizza

Ultima modifica il Giovedì, 01 Dicembre 2022 12:43

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