Musica di Giuseppe Verdi
Dramma lirico in quattro atti
Libretto di Temistocle Solera
Prima rappresentazione assoluta
Milano, Teatro alla Scala, 15 febbraio 1845
Prima rappresentazione al Teatro Costanzi 15 maggio 1972
direttore Daniele Gatti
regia e coreografia Davide Livermore
MAESTRO DEL CORO ROBERTO GABBIANI
SCENE GIÒ FORMA
COSTUMI ANNA VERDE
LUCI ANTONIO CASTRO
VIDEO D-WOK
Principali interpreti
GIOVANNA NINO MACHAIDZE
CARLO VII FRANCESCO MELI
GIACOMO ROBERTO FRONTALI
TALBOT DMITRY BELOSELSKIY
DELIL LEONARDO TRINCIARELLI
ORCHESTRA, CORO E CORPO DI BALLO DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
con elementi scenici del Palau de les Arts Reina Sofía, Valencia
Stagione 2020/2021
Teatro dell’Opera di Roma 19 ottobre 2021
Giovanna d’Arco, fra le opere di Verdi, è al centro di una querelle infinita. L’autore la riteneva la migliore fra le opere composte sino ad allora. I musicologi, invece, pensano si tratti di un lavoro minore. Ma – e qui si complica il disegno – essa è comunque imprescindibile. Come venirne a capo?
David Livermore, che firma la regia di questa seconda riproposizione dell’opera al Costanzi dopo quella del 1972, non prende parte a tale polemica: sostiene che gli studiosi sono sempre preoccupati a stilare classifiche. E in ciò faticano a comprendere che Giovanna d’Arco ben s’inserì nell’epoca in cui fu composta – ma quale lavoro artistico non lo è? Essa espresse al meglio sentimenti di battaglia, di opposizione al tiranno, esigenze di lotta e militanza. E quindi, chiosa il regista, è di tutto ciò che si deve tener conto. E si domanda Livermore: “Quale l’impatto che Verdi ebbe per i suoi contemporanei?”, forse ignorando che già Massimo Mila e Gabriele Baldini diedero risposte esaustive.
Coperta da un sipario a calata verticale dove al centro troneggia una croce di sant’Andrea, la protagonista verdiana è, nella rilettura di Livermore, scissa fra ciò che le si agita nell’animo e il mondo esterno. Giovanna è sdoppiata. Sul palco si vedrà lei e, contemporaneamente, il suo spirito ronzarle attorno. Questo conflitto è reso, scenicamente, da una struttura fissa, a cerchi concentrici, “come un gorgo – dice Livermore – dove si può andare in profondità, o nello stairway to heaven”. Sullo sfondo, una sfera – un ledwall – che di volta in volta proietta i pensieri e gli stati d’animo della protagonista. In tal modo, il pubblico dovrebbe entrare nel mondo interiore dell’eroina. Cosa, di per sé, che si rivelerà impossibile.
Perché le immagini proiettate sulla sfera – una farfalla dalle ali rosse che vola sopra delle fiamme, un teschio che si precisa pian piano entro un cielo plumbeo, un rosone medievale, una pioggia che cade copiosa – finiscono più per distrarre che perfezionare l’attenzione del pubblico sull’anima di Giovanna.
Inoltre Nino Machaidze, nei panni della protagonista, non ha fatto che gorgheggiare in modo civettuolo ed esasperato. Per questo soprano, le consonanti non esistono. Sicché la sua Giovanna d’Arco è parsa somigliante più ad un’eroina dannunziana che a un personaggio verdiano.
Diverso il discorso per Francesco Meli, che ha dato prova di un misurato talento canoro, dalla dizione precisa e nitida, con armonici negli acuti tondi e mai esasperati.
E bravo si è dimostrato anche Roberto Frontali: baritono dai bassi potenti e l’estensione notevole, ha tratteggiato un Giacomo severo, inflessibile, tuttavia pronto al perdono.
La direzione di Gatti, come al solito, è stata poco incisiva. Una discreta lettura, ma nulla che restasse impresso nel cuore.
E per tutto questo, lo spirito di Giovanna d’Arco, a dispetto di Livermore, è volato via assottigliandosi fino a scomparire, per via d’una lettura vagamente scolastica e poco coraggiosa dell’opera verdiana.
Pierluigi Pietricola