Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Barbara Hannigan
Girl Crazy. Concerto finale
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direzione e soprano Barbara Hannigan
Albert Roussel
Le festin de l'araignée, op.17
Suite
Franz Joseph Haydn
Sinfonia n. 104 in re maggiore London, Hob:I:104
Jean Sibelius
Valse triste op. 44 n. 1
George Gershwin
Girl Crazy Suite
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi
Spoleto – Festival dei Due Mondi 2024 14 luglio 2024
Non c’è Festival dei Due Mondi che non si chiuda col tradizionale Concerto di fronte alla meravigliosa scenografia della sua Cattedrale. E quest’anno, per l’ultimo affollatissimo spettacolo, si è scelto un programma con accostamenti inattesi: Roussel, Haydn, Sibelius e Gershwin. A dirigere questo pot-pourri, nella doppia veste di cantante anche, è stata Barbara Hannigan. La quale si è presentata sul palco con disinvoltura tradendo, tuttavia, una leggera emozione. Come l’opera di apertura è il marchio sulla busta contente la missiva, il Concerto finale del Festival è la firma apposta al termine della lettera. Una grande responsabilità, dunque, quella della Hannigan. Perché non basta solo dirigere un’orchestra in un modo eccelso tale da far ricordare l’esecuzione per tutta l’estate sino agli inizi dell’autunno. Vuol dire portare come artista che fa calare il sipario sulla kermesse spoletina tutta la tradizione di quest’ultima, l’aura che negli anni si è venuta a creare attorno ad essa sino a renderla magica (merito di Menotti). Le festin de l’araignée e la Sinfonia n. 104 in re maggiore (rispettivamente di Roussel e di Haydn) hanno in comune una certa giocosità, un vago andamento buffo che tende con levità al drammatico senza mai caderci dentro (caratteristica, questa, propria più a Le festin che alla Sinfonia di Haydn). Valse triste di Sibelius e Girl Crazy Suite di Gershwin, tematicamente, sono dissonanti perché la prima è la trasposizione in musica di un momento triste – la morte della madre vissuta da un figlio al suo capezzale e che, addormentatosi per la stanchezza e il dolore, la sogna che si risveglia –; mentre la seconda è la suite di un musical anni Trenta, con elementi sperimentali anche di natura dissonante derivanti da Mahler ma dal tono leggero. Un programma, quindi, che prende in esame gli aspetti opposti tipici dell’esistenza umana: allegria e melanconia e che sono stati, a voler procedere per sommarie sintesi, il leitmotiv di questa edizione del Festival. La Hannigan ha diretto il concerto in modo diligente, preciso. Il suo modo di muoversi sul podio, senza bacchetta in mano, con il corpo soprattutto a fornire indicazioni (un po’ come, mutatis mutandis, era solito fare Leonard Bernstein) ai Maestri dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia (bravissimi, dal suono pulito, avvolgente, potente ma mai violento, a tratti intimo) non è stato esuberante e ha difettato di coinvolgimento. Un’esecuzione, dunque, poco calda, molto razionale e calcolata al millimetro e che poco spazio ha lasciato alla creatività interpretativa – caratteristica che è emersa con evidenza eseguendo Haydn. Anche cantando Gershwin, la Hannigan non ha sfoggiato una voce potente e la sua interpretazione non si è abbandonata a quella leggerezza evocata dalle note. Un Concerto finale, dunque, diretto in modo diligente. Ma resterà, per la poca intensità interpretativa, nella memoria dei cittadini spoletini e del pubblico accorso da ogni parte d’Italia per assistervi? Pierluigi Pietricola