dramma lirico in quattro atti
libretto di Temistocle Solera
dal poema omonimo di Temi
musica di Giuseppe Verdi prima rappresentazione assoluta
Milano, Teatro alla Scala, 11 febbraio 1843
prima esecuzione assoluta dell'edizione critica della partitura pubblicata da The University of Chicago Press- Casa Ricordi a cura di David R.B. Kimbell
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
direttore Sebastiano Rolli
maestro del Coro Alfonso Caiani
regia Valentino Villa
scene Massimo Checchetto
costumi Elena Cicorella
light designer Fabio Barettin
movimenti coreografici Marco Angelilli
Personaggi e interpreti
Arvino Antonio Corianò
Pagano Michele Pertusi
Viclinda Marianna Mappa
Giselda Roberta Mantegna
Pirro Mattia Denti
Un priore della città di Milano Christian Collia
Acciano Adolfo Corrado
Oronte Antonio Poli
Sofia Barbara Massaro
Venezia, Teatro La Fenice, 5 aprile 2022, ore 19
I Lombardi alla prima crociata, quarta opera di Giuseppe Verdi scritta nel 1843, è andata in scena al Teatro La Fenice. Si è trattata di una novità per il palcoscenico veneziano, non essendo mai stata allestita nel corso del Novecento e nell’Ottocento fu rappresentata solamente una volta dopo il debutto scaligero. Motivo di interesse, prassi ormai consolidata per i titoli verdiani, averla riproposta nell’edizione critica curata da David R.B. Kimbell. Si tratta certamente di un titolo che fa parte dell'immaginario collettivo degli appassionati verdiani, ma che a stento rientra nel repertorio consolidato, preferendogli, a parità di stile, il Nabucco, pur non mancando nell'opera le grandi scene corali, le parti d'assieme d'impeto e di effetto, la possibilità di giocare con le masse sceniche. Gli fa difetto una trama alquanto complessa tra fratelli in conflitto, penitenze, pellegrinaggi in Terra Santa, rapimenti e amori celati. Qui a Venezia l'opera era proposta con la regia di Valentino Villa, le scene molto essenziali di Massimo Checchetto, i costumi moderni di Elena Cicorella, il light design di Fabio Barettin e i movimenti coreografici di Marco Angelilli, mentre la direzione musicale era affidata a Sebastiano Rolli, al debutto sul podio dell’ Orchestra e Coro del Teatro La Fenice, alla guida di un cast di garanzia per i ruoli principali che annoverava il basso Michele Pertusi (Pagano), il soprano Roberta Mantegna (Giselda) assieme al tenore Antonio Poli (Oronte). Se la prospettiva musicale costituiva l'elemento pregante di questa rappresentazione, non si può dire che l'allestimento sia stato conforme alle attese. La regia di Valentino Villa, giovane regista uscito dai corsi di specializzazione di Luca Ronconi e docente di recitazione all'Accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico, si raffigurava come una regia di attualizzazione, impegnata nel voler rappresentare i fanatismi religiosi che determinano guerre ideologiche combattute con le armi, qui armi teatrali, e nell'allegoria della guerra fratricida con la vicenda di Caino e Abele. Qui le armi dei crociati si sono trasformate in bastoni da baseball con repliche di fucili d'assalto malamente imbracciati da fantesse bianco vestite, del tipo suorine in libera uscita, e combattenti, predicatori di qualche setta cristiana, in bianco doppiopetto, già perchè alla guerra bisogna essere elegantemente vestiti. Il Santo Sepolcro di Gerusalemme da conquistare è stato trasformato in una rivendita di Kekab, simbolo della penetrazione culturale del mondo arabo musulmano in Occidente, da distruggere, con tanto di massacro del povero addetto. Del resto, Tommaso Grossi nel suo poema de I Lombardi alla prima Crociata del 1826 rappresentava i crociati intenti "a depredar ricchi paesi imbelli a incendiar case, ad assalir castelli". Di contro il libretto lascia aperta la comprensione per gli affetti incrociati, oltre l'ideologia, come nel caso conversione di Oronte, figlio del tiranno d'Antiochia, nel sogno di Giselda, bella lombarda rapita. Battaglie e crociate ma che Grossi e Solera, rappresentanti di un Ottocento progressivamente laico e storicista, rigettano affidando all'invettiva di Giselda, che resa folle dal dolore per la morte di Oronte, smaschera il famigerato Dio lo vuole (No! giusta causa non è d'Iddio / la terra spargere di sangue umano. / E' turpe insania, non senso pio, / che all'oro destasi del musulmano,) rimarcando l'esigenza di un Cristianesimo come forza spirituale in opposizione ad un malinteso soggetto faziosamente politico. Si è corso, invece, il rischio di cadere nella routine del già visto con il ripetersi di tòpoi ricorrenti, con il consueto corredo torce elettriche, rottami d'auto, borse da viaggio e cappellini sportivi. Ormai da consuetudine, il velario a luci di sala ancora accese fa trasparire una azione scenica del tutto slegata all'azione del dramma: qui erano i due bambini che giocavano assieme, che si ritrovano ogni tanto in scena, forse a rappresentare Pagano e Arvino, fratelli rivali. Come incomprensibile nell'economia dell'opera la lotta dei due giovani sulle rive del Giordano che, nell'intendo del regista, rappresentato l'ancestrale lotta tra Caino e Abele. Prendiamone atto. Bisogna concentrarsi sull'esecuzione musicale per addentrarci alle ragioni di questo allestimento che Stefano Rolli deriva dall'esecuzione dell'edizione critica che ripulisce lo spartito verdiano errori di trascrizioni, inserimenti tramandati dalla tradizione di esecuzioni e che va all'essenza dell'autenticità della musica verdiana. Rolli ha saputo restituire al pubblico, con una gestione dell'orchestra energica e precisa, l'essenzialità di questa opera ricca di ritmo e melodie contrappuntistiche dove le scene chiuse sono sempre incalzanti e si convertono in movimento e azione in palcoscenico senza frenesia ma senza cadute di tensione. Cast adeguato ad interpretare il, con il basso Michele Pertusi, Pagano, bandito nel primo atto, ed eremita nei successivi, con autorevolezza e equilibri nelle emissioni. Buono l'Oronte di Antonio Poli capace di ricondurre la vocalità tenorile di questa parte alla dimensione fra belcanto e istanza drammatica, senza eccedere nel canto spiegato. Roberta Mantegna, quale Giselda, si conferma cantante specializzata in ruoli tra belcanto e repertorio del Verdi giovanile, competente nel saper gestire le agilità e i ritmi incalzanti che la sua parte prevede, dando però l'impressione di acuti compressi. Pienamente a suo agio nella preghiera Ave Maria del primo atto come il suo rondò finale del secondo atto, quello del Dio non vuole, scena culmine di tutta l'opera. Le parti di affiancamento hanno contribuito alla riuscita della vicenda musicale con particolare riguardo per l'Arvino di Antonio Corianò, la Viclinda di Marianna Mappa con Sofia di Barbara Massaro, il breve, ma intenso, intervento dell'Acciano con Adolfo Corrado. Completano, di Christian Collia (un priore della città di Milano) e Mattia Denti (Pirro). Intendi gli interventi del coro diretto da Alfonso Caiani che conta tanti numeri musicali in scena, fino al conclusivo O Signore, dal tetto natio dove, finalmente, si è alzato un lungo applauso liberatorio. Da citare per il lungo e difficile assolo del terzo atto, il primo violino dell'orchestra affidato ad una valentissima sostituta dell'ultimo momento. Teatro esaurito: dopo alcune titubanze iniziali da parte di un pubblico, disorientato sul dove e quando applaudire, alla fine si è riscontrato un successo musicale pieno, salvo qualche mormorio di perplessità sulla regia dello spettacolo.
Federica Fanizza