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Avrebbe dovuto avere inizio alle 21.00, l’esecuzione dello Stabat Mater di Rossini che a Siena non si eseguiva da 26 anni, ma solo mezz’ora dopo è stato possibile cominciare, tanto è stato il pubblico accorso all’evento, del quale gli addetti hanno dovuto controllare i nominativi tra le prenotazioni. La cattedrale era gremita, di residenti e di visitatori stranieri in questo piccolo centro che conta circa 50.000 abitanti, ma si è guadagnato in questi ultimi anni in particolare una fama in campo musicale che non è da riferirsi solo alla tradizione Chigiana centenaria, ma ad una sinergia di incontri di quelli che si verificano ogni tanto miracolosamente, e che hanno fatto di questa piccola città e della sua cattedrale un’acropoli non solo del bello in architettura, ma uno spazio ideale per l’esecuzione della musica sacra della grande tradizione. Perché la sinergia tra Cattedrale e Accademia musicale da anni ormai è rappresentata dal coro Guido Chigi Saracini diretto da Lorenzo Donati, presente nella liturgia come nei concerti, e in questo evento speciale affiancato dal Munchener Bach-Chor diretto da Hansjorg Albrecht e dalla Young Musicians European Orchestra diretta da Paolo Olmi. 

Sipario per questa occasione unica non ha voluto sedersi tra le fila dei giornalisti, ma al contrario ha scelto le retrovie, tra giovani studenti della scuola media sperimentale musicale, per percepire al meglio l’impatto che un’opera così impegnativa può avere sui più giovani. Fortuna ha voluto che ci si sia trovati a fianco alla Libreria Piccolomini, dove i solisti hanno provato fino all’ultimo momento, anche perché in sostituzione della mezzosoprano Marianna Pizzolato, assente per motivi di salute, è stata chiamata all’ultimo momento la senese, e rossiniana, Laura Polverelli. Splendide nei lunghi abiti nero e rosso bordeaux, Polverelli e la soprano Irina Lungu hanno affiancato il tenore Dave Monaco ed il basso Mirco Palazzi. Le abbiamo viste dirigersi verso l’abside, poi più, abbiamo solo ascoltato la musica, dietro la selva di pilastri romanici e gotici dalla bicromia straniante, effetto optical, quanto di più astratto e capace di trasportare l’uditore nell’iperuranio. Quest’opera sacra, unica nella produzione rossiniana, alla quale potè dedicarsi con tutto se stesso dopo aver abbandonato il mondo del teatro, ha agito sugli astanti in maniera assoluta e senza distrazioni, con la sua incredibile ricchezza espressiva giocata su tutte le corde della musica, dal canto a cappella al concertismo più ricco. Ti accorgi di quanto la parola genio sia usata troppo spesso a sproposito, quando ascolti il suono di Rossini. In questa composizione, che parte dal semplice dialogo in volgare di Jacopone da Todi tra madre e figlio sofferenti che è alla base del teatro italiano, sia pure tradotta in latino diviene ridondante rappresentazione di tutti gli affetti umani, e possiede l’adulto come il ragazzo, non si può che abbandonarsi e farsi trasportare.

Annamaria Pellegrini