CLAUDE DEBUSSY
Budapest Festival Orchestra
Iván Fischer
Dramma lirico in 5 atti e 12 quadri
musica Claude Debussy
libretto Maurice Maeterlinck
prima rappresentazione Parigi, Opéra-Comique, 30 aprile 1902
Budapest Festival Orchestra
direttore Iván Fischer
regia Iván Fischer, Marco Gandini
scene Andrea Tocchio
costumi Anna Biagiotti
luci Tamás Bányai
INTERPRETI
Pelléas Bernard Richter
Golaud Tassis Christoyannis
Arkël Nicolas Testé
Yniold Oliver Michael
un dottore Peter Harvey
Mélisande Patricia Petibon
Geneviève Yvonne Naef
direttore tecnico Róbert Zentai
direttore di scena Wendy Griffin-Reid
assistente alla regia Heide Stock
assistente al direttore d'orchestra Johannes Marsovszky
con la collaborazione dello staff tecnico del Festival dei Due Mondi
produzione Iván Fischer Opera Company
coprodotto da Müpa Budapest, Spoleto Festival dei Due Mondi, Vicenza Opera Festival
Nuovo allestimento
Spoleto – Festival dei Due Mondi 2023 25 giugno 2023
Dopo tre anni di assenza, durante i quali il Festival dei Due Mondi aveva perduto un tratto rappresentativo suo caratteristico, ecco che finalmente la kermesse spoletina torna a presentarsi con l’opera. Perché in scena al Teatro Menotti c’è Pelléas et Mélisande di Debussy.
Questo lavoro che segna l’inizio del Novecento musicale, oltre a un nuovo stile di teatro lirico, è anche una delle punte massime della musica del grande compositore. Una musica che doveva trasmettere, attraverso i suoni, impressioni e colori perfettamente sintetizzati mediante il simbolo. Quella particolare forma di segno, cioè, che sintetizza alla perfezione un contenuto inconscio con tutto ciò che del mondo quotidiano e dannatamente razionale conosciamo e facciamo esperienza.
E quale migliore occasione, quale migliore prova dell’omonimo poema di Maeterlinck per raccontare una storia d’amore al di fuori di ogni tempo, di ogni luogo, di ogni spazio definito e circoscritto? Circostanza più propizia non vi sarebbe potuta essere per il grande compositore.
E qui si comprendono le ragioni per le quali, già allo sbocciare del loro sentimento, Pelléas e Mélisande capiscono che non vi sarà storia né, quindi, futuro. Per una musica fatta solo di sensazioni e colori, se così si può dire, diversi sviluppi narrativi e drammaturgici non si sarebbero potuti immaginare.
Debussy sognava una musica che ricreasse, attraverso una rappresentazione del rapporto fra uomo e natura, una condizione di libertà che le poetiche teatrali del tempo e l’arte tout court avevano lasciato in disparte.
Ivan Fischer, nella sua regia, ha voluto cogliere e rappresentare tutto questo. E difatti assistiamo ad una scena (con il golfo mistico abolito) che somiglia ad una foresta, con rami fogliame e sottobosco, dove i musicisti, il direttore e gli interpreti sono calati. Quale il risultato: una magia nella quale pubblico e artisti avvertono di essere immersi? In realtà, una certa mancanza di azione per l’intera durata dell’opera. Perché con i rami avvoltolati e presenti ovunque sul palco, gli interpreti si sono trovati condizionati nei movimenti e, di conseguenza, anche nel trasmettere vocalmente il viluppo di sensazioni che i personaggi interpretati dovevano necessariamente esprimere.
Ed ecco, dunque, un Bernard Richter dar vita a un Pelléas dalla voce certamente possente ma dall’espressività contenuta, inesplosa, pur avvertendo una ridda di sensazioni che attendevano il giusto canale per uscire nel modo adeguato. La Mélisande di Patricia Petibon, pur di vincere la costrizione dovuta a scenografia e impostazione di regia, ha ecceduto in formalismi e ha dato vita ad una mimica prossima alla caricatura. Il Golaud di Christoyannis è stato, invece, scolastico e quasi depauperato di personalità.
Musica e direzione d’orchestra: anch’esse irretite, non del tutto espresse.
Un vero peccato. Un Debussy impallidito da una regia che, se avesse giocato in sottrazione, leggerezza e ironia, avrebbe certamente dato vita a un capolavoro.
Pierluigi Pietricola