di Plauto
interpretato e diretto da Emilio Solfrizzi
con Simone Colombari, Sergio Basile, Rosario e Beatrice Coppolino, Viviana Altieri, Cristiano Dessì
scene: Fabiana Di Marco
costumi: Alessandra Benaduce
luci: Mirko Oteri
musiche: Michele Marmo
produzione Compagnia Molière.
Borgio Verezzi, Piazza S. Agostino, 9-10 luglio 2024
Lo spettacolo è una prima nazionale che si confronta con un capolavoro del commediografo latino Plauto (255-184 circa a. C.), per lo più proposto in manifestazioni estive. In questo caso la rappresentazione avrà un’ampia circolazione sui palcoscenici italiani. Per oltre trent’anni, dal 215 al 184 a. C., vale a dire nel periodo in parte caratterizzato dalla seconda guerra punica, segnata da grandi sconfitte per Roma (al Ticino, al Trebbia, al lago Trasimeno e a Canne), e conclusa nel 202 a. C. con la vittoria di Scipione l’Africano a Zama, Plauto riscosse un incontrastato successo. Interessante è scoprire come la regia sappia superare le difficoltà di un testo compromesso da una lacuna di circa 300 versi, collocata verso la fine del III atto, privandoci così delle scene in cui si scontrano il vero e il falso Anfitrione. Al pari della maggior parte dei ventuno testi a lui attribuiti con certezza, la pièce si segnala per l’irresistibile dinamismo dei personaggi, capaci in veloci battute di un’espressività, a tratti iperbolica, di rendere bene una psicologia o uno stato d’animo. Il testo, che drammatizza una singolare storia di corna, ha avuto sinora una quarantina di rifacimenti, da Vitale di Blois a Molière, da Dryden a Kleist e Giraudoux, per non ricordare che pochi nomi. Il copione, veloce, scintillante e scoppiettante, è definito tragicommedia, per la compresenza di dei e personaggi umani. L’opera racconta le strane vicende del generale Anfitrione e del suo servo Sosia, interpretati dal bravo Simone Colombari e dallo stesso Solfrizzi. Entrambi si distinguono per la capacità di giocare bene sulla tastiera buffa e su quella tragica grazie alla mobilità, alle posture e alla mimica. Al ritorno a casa dopo una lunga campagna militare, i due hanno la sorpresa di scoprire che Alcmena, resa per lo più con composta fermezza da Viviana Altieri, è stata posseduta da Giove, che ha assunto l’aspetto del marito. Imperniata sul tema del doppio, la commedia latina vede agire per lo più davanti all’abitazione di Anfitrione cinque personaggi principali, di cui due sono divini: Giove e Mercurio, impersonati con distacco e ironia da Sergio Basile e Rosario Coppolino, e tre umani: Anfitrione, Alcmena e Sosia, nell’ordine il generale tebano, la di lui moglie e il pavido, mentitore e imbroglione servo, resi felicemente da Simone Colombari, la già ricordata Altieri e Solfrizzi. Due delle figure simili, intercambiabili e reali, hanno acquisito, la prima direttamente dal testo di Plauto e l’altra dal rifacimento di Molière del 1668, le definizioni antonomastiche di una persona che ha una sorprendente somiglianza fisica nell’aspetto con un’altra e del padrone di casa che ospita e intrattiene i convitati. La regia di Solfrizzi ha superato con efficacia la mancanza di una parte consistente del testo grazie all’inserimento di tre ruoli assenti nell’originale: la lunga notte d’amore nel corso della quale Giove è a letto con Alcmena; Ercole e Ippofante, figli di Giove e Anfitrione. Quest’ultimo prima di partire per la guerra aveva messo incinta la moglie. A impersonare i tre personaggi sono Beatrice Coppolino, Domenico Pepe e Cristiano Dessì. La prima e il terzo interpretano anche i brevi ruoli di Bromia, ancella di Alcmena, e Ippofante. Il copione diverte lo spettatore dall’inizio alla fine per i continui battibecchi tra Sosia e Mercurio, Sosia e Anfitrione e Giove e Anfitrione. Le due divinità hanno assunto nell’ordine le sembianze di Sosia e Anfitrione. In questo caso equivoci e scambi di persona, presenti anche nei Menecmi e nelle Bacchidi, vengono moltiplicati e raddoppiati.. Il lavoro è agile e divertente in particolare nelle scene caratterizzate da una comicità irresistibile come ad esempio quelle tra Mercurio e Sosia (che si trova sorprendentemente sdoppiato nel dio) e tra il geloso Anfitrione e l’incolpevole Alcmena. La macchina farsesca di Plauto, che intreccia vari filoni: il comico-farsesco, il sentimentale-drammatico e il mitologico-religioso, funziona alla perfezione nello spettacolo allestito con assoluta bravura dalla compagine capitanata da Solfrizzi, sceneggiatore, attore e comico nato a Bari nel 1963. A lui si deve l’idea geniale di avere innestato sull’originale godibili richiami alla modernità. Alludo ad esempio alla parodia del televisivo I soliti ignoti con Amadeus, all’eduardiana Filumena Marturano e al disneyano film animato Il re leone. Divisa in due atti della durata complessiva di due ore, lo spettacolo si sviluppa in una frenetica girandola di scambi, equivoci e situazioni esilaranti in cui i personaggi, confondendo la vera identità di chi si trovano di fronte, offrono al pubblico una serata spassosa, ironica e leggera, ma insieme pensosa e amara perché si misura con temi seri, quali la distruzione della gloria di un generale; il dramma di Sosia. Il servo, sottoposto da Mercurio ad un crudele lavaggio del cervello, mostra come può essere annientata la personalità di un uomo; l’infangamento dell’onorabilità di Alcmena con l’accusa di adulterio. Tutto si chiarirà solo nel finale. Il latinista Bertini nota che le due divinità “assistono, talvolta con subdolo compiacimento, ma per lo più con indifferenza, alle sofferenze degli umani.” Apprezzabili sono le scene di Fabiana Di Marco e i costumi disegnati da Alessandra Benaduce. Le luci di Mirko Oteri e le musiche di Michele Marmo, che hanno la duplice funzione di scandire i movimenti degli attori e di separare le scene. Una particolare lode va riconosciuta al pubblico accorso numeroso nonostante si giocasse la semifinale degli europei di calcio tra Spagna e Francia. Osservo infine che il testo è declinato con intelligenza da Solfrizzi all’insegna dell’inganno e del travestimento, che sono i temi scelti dal direttore artistico Maximilian Nisi per la 58esima edizione del Festival. Il divertente ed agile lavoro proposto si rivela, a quanto precisa lo stesso Solfrizzi, “una preziosa lente attraverso cui analizzare e commentare la contemporaneità”. Insomma quello presentato con bravura da Solfrizzi e dai suoi attori “è un Plauto modernissimo: quante volte pensiamo di avere di fronte qualcuno e invece ci toviamo di fronte qualcun altro, sbagliando le nostre valutazioni? O viceversa: quanto spesso non siamo all’altezza dei ruoli che gli altri ci danno?”. Roberto Trovato