di David Mamet
Traduzione di Masolino D’Amico
Regia di Giorgio Sangati
Interpreti: Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria
Scene: Alberto Nonnato. Luci: Cesare Agoni. Costumi: Gianluca Sbicca. Musiche Giovanni Frison
Assistente alla regia: Michele Tonicello
Foto di Laila Pozzo
Foto di scena: Serena Pea.
Produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Biondo di Palermo, in accordo con Arcadia & Ricono Ltd Per gentile concessione di A3 Artists Agency. Teatro Verga di Catania dal 13 al 18 febbraio 2024
Per me occuparmi di David Mamet è come fare un tuffo nel passato, quando alcuni suoi lavori come American Buffalo o Glengarry Glen Ross, passavano dai nostri Teatri, apprezzandone una scrittura neo-neo-realista in concorrenza, quasi, con i nostri drammaturghi italici come Umberto Marino, Giuseppe Manfridi, Edoardo Erba e altri. Il fenomeno era simile a quello della Pop Art statunitense quando ai vari Andy Warhol, Casper Jones, Robert Rauschenberg, noi contrapponevamo la triade romana Mario Schifano-Franco Angeli-Tano Festa. Adesso, dopo essere andata in scena nel marzo dello scorso anno al Biondo di Palermo, giunge al Verga di Catania Boston Marriage, un'opera teatrale di Mamet, rappresentata per la prima volta all'American Repertory Theatre di Cambridge nel 1999. Un testo invero che si stenta a riconoscere il Mamet dei primi spettacoli, sembrando questa pièce un vaudeville pruriginoso, non necessariamente riferito alla trimurti di Feydeau, Courteline e Labiche, priva di personaggi maschili che sbattono le porte, virando piuttosto verso la raffinatezza delle commedie di Oscar Wilde, tipo L’importanza di chiamarsi Ernesto, in cui venivano messi in risalto perbenismi e falsi moralismi vittoriani. Il titolo in questione prende il nome dall'espressione "Matrimonio Bostoniano", eufemismo utilizzato tra XIX e XX secolo, riferito a una relazione tra due donne ‒ spesso con risvolti sentimentali ‒ che non necessitavano del sostegno economico di un uomo, ma che potevano reggersi in una sorta di convivenza matrimoniale tipo LGBT (acronimo di persone Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transessuali) ante litteram. Occorre pure dire che il testo di Mamet richiama alla mente il romanzo The Bostonians di Henry James, nel quale l’autore affronta apertamente, specie se pensiamo che il libro è del 1886, il tema dell’omosessualità e dipinge l’affresco di una società in bilico tra valori antiquati e spinte progressiste, con particolare attenzione alla condizione femminile e alle spinte del proto-femminismo delle “suffragette”. Lo spettacolo in questione, accolto molto bene e a lungo applaudito da un pubblico in prevalenza femminile d’una replica pomeridiana, si avvale della regia divertente di Giorgio Sangati, dietro il quale vi scorgiamo un David Mamet che si diverte a parodiare la prosa ampollosa dell’epoca, ricca di allusioni, a volte stravagante, in altri momenti quasi paradossale, resa godibile da un trio formidabile di attrici,(Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria), dalla traduzione di Masolino D’Amico che non bada a spese nell’evidenziare i termini della sfera sessuale e dalla scena zuccherina di Alberto Nonnato che ritrae un salotto tinteggiato di rosa antico misto al fucsia d’una dormeuse in primo piano. Il salotto appunto, regno della casa della signorina Anna, sempre su di giri, esuberante e charmante, pure âgée quella vestita da Maria Paiato, all’inizio avvolta da ampi abiti bianchi, poi verso la fine cinta da un vestito di velluto color rosso-rubino, che fa il paio con quello verde-malachite dell’amica del cuore, la Claire di Mariangela Granelli, entrambe colte a conversare delle loro conquiste e dei loro nuovi amori. Anna, un tempo legata sentimentalmente a Claire, le confessa d’essere mantenuta da un uomo ricco che le ha dato i quattrini per ristrutturare la casa, un motivo in più per farle piacere e poterla riconquistare. Da canto suo Claire è venuta a fare visita all’amica per altri motivi, rivelandosi la riconquista di Anna molto più complicata del previsto, con vari colpi di scena che coinvolgeranno anche la giovane cameriera Catherine, in grembiule bianco come la crestina in testa quella di Ludovica D’Auria, cui si devono gli interventi più esilaranti, quasi da farsa, dovuti pure alla sua imperizia e alle sue entrate in scena con un vassoio in mano e un the che si raffredda nelle tazze che nessuno mai berrà, gridando ad un tratto d’aver perso la verginità standosene appoggiata ad un mobile di cucina, licenziata e poi riassunta quando era in procinto di andare via con cappotto, cappello e valigia in mano. Intanto Claire, ignorando i tentativi di riconciliazione di Anna, le chiede di aiutarla a sedurre la sua nuova fiamma: una ragazza giovane di buona famiglia verso la quale Anna prova una certa stizza cercando di prendere tempo, mostrando a Claire una collana di smeraldi che le ha regalato il suo ricco amante. Poi il chiacchiericcio assume altri risvolti perché si scopre che la collana appartiene alla moglie dell’amante di Anna che è pure il padre della ragazza che Claire vuole sedurre. Infine gli intrecci vengono chiariti e sembra che tutto sia destinato a finire male, ma non è così perché Anna riesce a volgere la situazione a suo vantaggio e tornare nuovamente a fare coppia con l’amata Claire. Gigi Giacobbe