da Los Farsantes di Pablo Remón
traduzione italiana Davide Carnevali
con Silvio Orlando
e con (in ordine alfabetico) Francesca Botti, Francesco Brandi, Blu Yoshimi
regia Pablo Remón
scene Roberto Crea
luci Luigi Biondi
costumi Ornella e Marina Campanale
aiuto regia Raquel Alarcón
Cardellino srl
Spoleto Festival dei due Mondi
Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Teatro Carignano, Torino 14 – 26 MAG 2024
Basta un ottimo interprete per reggere il peso di uno spettacolo che fa fatica a trovare coerenza e a coinvolgere? È questa la domanda che potrebbe assalire, dopo aver visto Ciarlatani: storia di due personaggi, due destini intrecciati e accomunati (tra le altre cose) dall’appartenenza al mondo del cinema e del teatro, scritta e diretta da Pablo Remón (Teatro Carignano, Torino, 14 – 26 maggio 2024). L’interprete in questione è Silvio Orlando, a quanto pare innamorato della pièce – al punto da volerla portare in Italia a ogni costo –, che ha dalla sua una certa naïveté. Eppure, chi scrive – oltre a trovare efficaci le scene e una colonna sonora piuttosto furba – non ha grandi emozioni da fermare sulla carta. Ma andiamo con ordine, raccontando prima di tutto la trama: Anna Velasco (interpretata da Blu Yoshimi) è una giovane attrice, che probabilmente sceglie la recitazione in preda a una specie di complesso edipico, ovvero per misurarsi con il proprio padre (nonché regista di culto), da lei sempre percepito distante. Diego (Silvio Orlando) è un regista commerciale, vittima di una crisi artistica e professionale elaborata a partire dal confronto con l’ombra di un collega inarrivabilmente intellettuale: chi se non il papà di Anna, Eusebio Velasco? Ecco che Eusebio (cui dà volto e voce lo stesso Orlando) viene a essere il vero deus ex machina dello spettacolo, vertice di un triangolo di frustrazione e insicurezze (da un lato Anna e dall’altro Diego) situato nella gabbia dorata di un set (o, se preferite, di un palcoscenico). La riflessione (metateatrale, ma non solo) è amara: chi sono i ciarlatani, se non persone che si trovano nel posto sbagliato, per aver confuso i loro sogni con i sogni altrui, mossi da motivazioni inconsapevoli, immature, capricciose, prive di contenuto? Addirittura, il regista Diego (a un certo punto) si ritrova a dover difendere la propria opera di plagio, dimostrando ancora una volta che l’arte è una condanna, ma la sua crisi non convince. Banale (francamente) è anche lo smarrimento provato da Anna, persa tra una particina in una soap opera e altri “lavoretti” per sbarcare il lunario. La scenografia componibile, di Roberto Crea – che via via si trasforma da interno casalingo a camerino di teatro, da ospedale a bar notturno dove aprirsi a liberatorie e alcoliche confessioni tra sconosciuti –, offre dei deliziosi frame cinematografici, quadretti popolati, oltre che da Yoshimi e Orlando, da altri due attori (Francesca Botti e Francesco Brandi). Per il resto, la storia di Anna Velasco – rimproverata sul set di una soap-opera per aver studiato sognando «troppo Cechov», unitamente a quella del regista di blockbuster in crisi di identità, ci sembra uno schema poco originale. Gianluca Montanino