adattamento e traduzione da “La nuit juste avant les forêts” di Bernard-Marie Koltès
Traduzione, adattamento e regia di Giuseppe Massa
Interpreti: Dario Mangiaracina, Giuseppe Massa, Roberto Calabrese, Carmelo Drago
Musiche: Dario Mangiaracina. Anteprima nazionale in collaborazione con Operaestate Festival Veneto
Produzione Suttascupa
Baglio Di Stefano, 43ª Edizione delle Orestiadi di Gibellina, 26 luglio 2024
Tre personaggi in mutande nere, strette da guardinfanti e maschere sul viso di uccelli rapaci, diagonalmente accovacciati sul palcoscenico pullulante di viti, bulloni e oggetti reperibili in ferramenta, con accanto un personaggio che va su e giù lungo una torre metallica e sbraita ad alta voce parole in dialetto palermitano, pure lui agghindato come gli altri tre suoi compagni e che si distingue da loro per avere una lunga capigliatura grigio-argento. Questo è ciò che i nostri occhi vedono ad inizio dello spettacolo Canzuna segreta (Canzone segreta) che Giuseppe Massa, ha messo in scena sul palco del Baglio Di Stefano di questa 43 ª edizione delle Orestiadi di Gibellina diretta da Alfio Scuderi, traducendo e adattando l’atto unico La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltés (conosciuto in Italia col titolo La notte prima delle foreste), dando voce da solo, quasi in forma oratoriale, ad un lavoro tosto, visionario, sulfureo. Poi i tre personaggi dell’inizio (Dario Mangiaracina, Roberto Calabrese e Carmelo Drago) formano un trio musicale, due chitarre e una batteria, una piccola band che abbraccia un rock duro dai suoni metallici in perfetta sintonia con le parole dialettali di Massa. L’opera come è noto è andata in scena la prima volta al Festival d’Avignon del 1977 e anche in Italia ha riscosso un certo successo avendo come interpreti in varie occasioni Giulio Scarpati, Claudio Santamaria, Pierfrancesco Favino. È un lavoro in cui lo spettatore entra subito nei suoi panni, perché può capitare a chiunque di noi d’incontrare un personaggio come quello che interpreta Giuseppe Massa, magari in una notte di pioggia, mentre ci si ripara sotto una tettoia o all’interno d’un portone o d’un bar e senza che ci viene chiesto niente, colui t’intrappola utilizzando parole intelligenti e mentre parla capisci che è solo nella vita, resti affascinato per come architetta il futuro ed è come se vedessi te stesso nell’altro quando parla di speranze e di sogni. E ciononostante senti che è impossibile fare qualcosa per aiutarlo, solidarizzare con lui e ad un tratto, in un niente lo saluti e vai via per la tua strada, scorgendo che l’altro è andato via dalla parte opposta. È un lavoro urticante che Massa scaraventa sugli spettatori senza punteggiatura, come in Molly Boom di Joyce o in alcune recenti opere del recente Premio Nobel Jon Fosse e mi viene in mente pure quel film giapponese del 1989 in cui il regista Shiy’va Tsukamoto nel suo film Tetsuo, The Iron Man, racconta di un uomo che lentamente si trasforma in una macchina, addirittura ad un tratto il suo pene diventa una fresa gigante e penetra a morte la fidanzata. Un film caro pure a Enrico Ghezzi che lo mandava in onda nottetempo su “Fuoriorario-Cose (mai)viste” di Rai 3, evidentemente affascinato per come i film di questo geniale regista nipponico, riuscivano a spaziare, tra surrealismo e futurismo, sulla metamorfosi dell’uomo e sul suo rapporto conflittuale con la tecnologia, temi già cari a David Cronenberg. Giuseppe Massa è bravissimo, in grado nel suo vorticoso spettacolo di coinvolgere gli spettatori che alla fine lo subissato di applausi unitamente ai tre compagni d’avventura. Gigi Giacobbe