di Fëdor Dostoevskij
adattamento e regia Konstantin Bogomolov
traduzione Emanuela Guercetti (Giulio Einaudi Editore)
scene e costumi Larisa Lomakina; luci Tommaso Checcucci
assistente alla drammaturgia Yana Arkova
assistenti alla regia Teodoro Bonci del Bene, Mila Vanzini
personaggi e interpreti: Raskol'nikov, Leonardo Lidi; Porfiriy Petrovich, Paolo Musio;
Svidrigailov, Renata Palminiello; Alena Ivanovna, Sonya Marmeladova, Diana Höbel;
Lizaveta, Marmeladov, Enzo Vetrano; Dunya Raskolnikova, Margherita Laterza;
Pulheria Raskolnikova, Anna Amadori; Nikolka, Marco Cacciola
direttore tecnico Robert John Resteghini; direttore di scena Gioacchino Gramolini
capo macchinista Lorenzo Martinelli; capo elettricista Fabio Bozzetta
fonico Alberto Irrera; sarta Pierangela Rotolo
scene costruite nel laboratorio di Emilia Romagna Teatro Fondazione
capo costruttore Gioacchino Gramolini; costruttori Sergio Puzzo, Marco Fieni, Riccardo Betti
decoratori Elena Giampaoli, Lucia Bramati
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione
visto al Teatro Storchi, Modena, il 22 maggio 2017
Delitto e castigo di Dostoevskij, riletto dalla regia di Konstantin Bogomolov, impone una riflessione che tenga conto dell'operazione produttiva di Ert nei 40 anni dalla sua fondazione e dello spettacolo in sé. Ma prima di abbozzare queste considerazioni sembra doveroso giocare a carte scoperte e affermare che alla prova della messa in scena – in un caldo pomeriggio di maggio in uno Storchi con spettatori due classi di studenti delle medie superiori – chi scrive ha faticato a entrare in sintonia con ciò che accadeva sul palcoscenico, ha tentato di non arrendersi, si è proteso verso il palco in attesa che qualcosa accadesse, che qualcosa arrivasse da quanto si agiva in scena, tutto ciò senza alcun risultato, riportandone alla fine un senso di frustrazione e di inadeguatezza. Un limite da spettatore? O un limite intrinseco della messinscena? Interrogativi – questi – che valgono ogni sera e per ogni spettacolo, interrogativi che fanno parte della comunicazione teatrale interrotta... come un coito. A fronte di questa cesura comunicativa la testimonianza dello spettatore/critico va in cerca del contesto per poi analizzare l'oggetto. Delitto e castigo riletto dal regista russo Bogomolov rientra nella politica estetica di grande rigore e coraggio che Ert ha portato avanti almeno negli ultimi quindici anni, attraverso le intuizioni dell'ex direttore Pietro Valenti e mediante il progetto europeo Prospero. Da Anna Karenina per la regia di Eimuntas Nekrosius alle Signorine di Wilko, diretto da Alvis Hermanis per arrivare a questo Delitto e castigo Ert ha con determinazione agito perché il teatro divenisse terreno comune di incontro fra attori italiani e registi europei, in nome di una contaminazione di sensibilità mai scontata, sempre ricca di intelligenze e non sempre riuscita. Per Anna Karenina qualche anno fa, oggi per Delitto e castigo la realizzazione dello spettacolo è stato accompagnato dalla lettura integrale del romanzo, una lettura scenica aperta al pubblico, in nome di una condivisione di percorso e per non dare per scontate conoscenze pregresse. Si dice tutto ciò per leggere l'operazione Delitto e castigo in un contesto di senso e di apertura che la rende in ogni caso lodevole e interessante. Ma ciò che viene restituito in scena è un lavoro che – allo sguardo di chi scrive – appare volutamente respingente, costruito su un accumulo di segni che non sciolgono, ma complicano, che non esplicitano una chiave di lettura, ma giocano ad allontanare lo spettatore pur in una cornice di confessione a tu per tu che sembra caratterizzare ogni personaggio nel raccontarsi e attore nel porgersi. Konstantin Bomogolov ha 'ridotto' il romanzo ad una serie di monologhi, spesso recitati a ridosso del pubblico. A questo susseguirsi monologante di parole più o meno incisivamente recitate si appongono azioni e contesto scenici stranianti in un interno borghese: un divano, due poltrone sgualcite, un mobile con un vaso di fiori. Raskol'nikov non è uno studente, ma un immigrato di colore in tuta, svogliato e indolente; la madre e la sorella sembrano prese in prestito dal film il Colore viola di Spielberg. L'indolenza dello studente Raskol'nikov e al tempo stesso la seduzione esercitata da Nietzsche faticano a trovare una convincente realizzazione in questo immigrato di colore, privo di qualsiasi ideologia a cui Leonardo Lidi dà una corpulenta e un po' disorientata presenza scenica. E allora sembra tirata per i capelli la figura di Porfiry, pubblico ministero malato di cancro e innamorato delle studente, così come la trasformazione della sorella di Raskol'nikov nella governante di una famiglia molto agiata, o ancora il povero Nikolka ridotto a una sorta di inconsapevole spastico. A tutto ciò si unisca un crocifisso asessuato che cala dal graticcio, qualche fellatio e orgasmi da film porno come sottofondo sonoro e il gioco è fatto. Delitto e castigo si costruisce come una sequenza di monologhi in cui la vicenda finisce con non essere ritracciabile se non per sommi capi e offrire quel 'filosofare' di Dostoevskij che arriva al pubblico quando la verbosità del dire è ben sciolta dall'abilità dell'attore: su tutto e tutti si stacca Enzo Vetrano terribile ed efficace nei panni di Lizaveta e Marmeladov, il resto della compagnia annega ciò che dice e racconta in un indistinto procedere per apposizioni di situazioni senza un reale sviluppo drammaturgico. Leonardo Lidi (Raskol'nikov), Paolo Musio (Porfirij Petrovic), Renata Palminiello (Svidrigailov), Diana Höbel (Alena Ivanovna, Sonja Marmeladova), Enzo Vetrano (Lizaveta e Marmeladov), Margherita Laterza (Dunja Raskolnikova), Anna Amadori (Pulcherija Raskolnikova) e Marco Cacciola (Nikolka) fanno quello che possono e sembrano andare per tentativi, essersi costruiti le loro figurine addosso, cercando di intuire quello che forse lo stesso regista non aveva chiaro, ovvero come mettere in scena Delitto e castigo. Un vero peccato, almeno per chi scrive, uno spettacolo che ha regalato un senso di frustrazione e una cocente delusione. Forse ci si aspettava troppo da questo spettacolo. Ed anche la volontà di Konstantin Bomogolov di proporre un teatro che divida il pubblico non ha sortito effetto perché il pubblico l'ha unito nella comune perplessità e un senso soffocante di noia e provocazioni fini a se stesse.
Nicola Arrigoni