di Fëdor Dostoevskij
Regia: Sergio Rubini
Adattamento teatrale di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi
Interpreti: Luigi Lo Cascio, Sergio Rubini, Roberto Salemi, Francesca Pasquini
e con G.U.P. Alcaro
Voci: Federico Benvenuto, Simone Borrelli, Edoardo Coen e Alessandro Minati
Scene: Gregorio Botta
Costumi: Antonella D'Orsi
Musiche: Giuseppe Vadalà
Progetto sonoro G.U.P. Alcaro
Luci: Luca Barbati e Tommaso Toscano
Regista collaboratore: Gisella Gobbi
Foto Luigi Lo Cascio © Pino Le Pera
Produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo e Fondazione Teatro della Toscana
Al Teatro Vittorio Emanuele di Messina dall'1 al 3 febbraio 2019
Più che una messa in scena del romanzo Delitto e castigo di Dostoevskij ad opera di Sergio Rubini regista, adattatore teatrale insieme a Carla Cavalluzzi e interprete sempre all'altezza di ben otto personaggi compreso quello di narratore, sembra una lettura drammatizzata, quasi una mise en espace: complici due leggii, un tavolino da un lato, un lettino dall'altro, un bancone e robe varie che pendono dall'alto così pure una serie di lunghe corde-battagli che quando in movimento emettono suoni di campane, propiziati da un rumorista con consolle ( G.U.P. Alcaro) ben visibile sul fondo, che amplifica suoni, rumori di passi, grida, musiche da organo, oggetti che cadono a terra su una scena scarna e lugubre ( quella di Gregorio Botta) squarciata da fasci di luci direzionali. Certamente questo spettacolo con due formidabili attori come Sergio Rubini e il nostro Luigi Lo Cascio, lungi invero da quelle sei puntate televisive in bianco e nero del 1963 con la regia di Anton Giulio Majano con Vannucchi e la Occhini nei ruoli principali di Raskolnikov e di Sonia, è architettato come un puzzle di due ore senza intervallo, il cui racconto ci viene mostrato sotto forma di varie tesserine-siparietti attorno agli arredi accennati prima, che lo spettatore agevolmente sarà in grado di ricostruire e mettere insieme. Fermo restando che la tesserina più grossa è quella riguardante il pensiero e le azioni dello studente Raskolnikov che Lo Cascio interpreta con una forza e una vigoria non comune e una magnifica voce, in sintonia col suo corpo che vibra e s'incurva nell'atto di procedere in avanti quando invece sta fermo su un piede e l'altro è appena alzato. Una mente la sua imbottita degli ideali societari di Marx e del superomismo di Nietzsche, misti a un misticismo messianico tipico del popolo russo, da farlo sentire un eletto e trovare una giustificazione nel delitto che commetterà nei confronti d'una vecchia usuraia (Rubini) e della sua inoffensiva sorella Elisavjeta, per derubarle. Si rende subito conto Raskolnikov che il denaro rubato non è sufficiente a risolvere i suoi ideali di giustizia e benché alcune circostanze favorevoli sviino le indagini, si sente un perseguitato diventando giudice di sé stesso. Più avanti la vicenda si tinge d'un giallo psicologico a sfondo poliziesco. Raskolnikov è assalito dall'ansia e da continui deliri. Ha paura d'essere scoperto, ma nello stesso tempo, per quella sua idea di "super uomo", s'informa sul delitto, giocando d'astuzia con la polizia, sfidandola quasi. Del resto si sa che l'assassino torna sempre sul luogo del delitto ed è per questo che il giudice Porfirij (Rubini) pur ritenendolo colpevole lo lascia libero, immaginando che sarà lui stesso a consegnarsi nelle sue grinfie. Adesso Raskolnikov, quasi un Ulisse joyceano, vagola per Pietroburgo incontrando un bestiario umano derelitto, come l'impiegato ubriacone Marmeladov (Rubini) marito della tisica Katerina Ivanovna, che per fame ha spinto la figliastra Sonja (Francesca Pasquini) alla prostituzione, diventando costei l'amabile compagna di Raskolnikov, l'unica persona cui confessare il delitto commesso, la sola che gl'indicherà il valore della vita umana secondo Cristo e che lo spingerà a costituirsi. La purificazione avverrà più tardi, quando Raskolnikov verrà condannato alla deportazione in Siberia, avendo accanto a sé Sonia che l'ha seguito, sentendosi infine libero di espiare le sue colpe e il suo castigo. Occorre ancora dire che Rubini non ha dimenticato nel suo applaudito spettacolo in un gremito Teatro Vittorio Emanuele, d'inserire quel mondo di diseredati e peccatori, come la madre (Rubini) e la sorella Dunja (la stessa Pasquini) che per aiutare la famiglia accetta di sposare il ricco e spregevole avvocato Lužin (Roberto Salemi), meschino costui al punto di accusare falsamente Sonia d'un furto di cento rubli per denigrare lei e Raskolnikov di fronte alla madre e Dunja. C'è infine il possidente Svidrigajlov (Rubini) in casa del quale Dunja era stata istitutrice e che per poterla sposare ha avvelenato la moglie, ma poi vistosi respinto si uccide.
Gigi Giacobbe