Tratto dalle lettere di Liliana Castagnola
Scritto da Corrado Ardone
Regia Lara Sansone
Scene Francesca Mercurio
Musiche Paolo Rescigno
Costumi Teresa Acone
Disegno luci Luigi Della Monica
Con Gino De Luca, Massimo Peluso, Giorgio Pinto, Ruben Rigillo, Ingrid Sansone, Lara Sansone, Ivano Schiavi
E con la partecipazione di Leopoldo Mastelloni
Produttore creativo Sasà Vanorio
Produzione Tradizione e turismo – Centro di produzione teatrale
Il 16 e il 17 giugno 2021 (Campania Teatro Festival), Cortile della Reggia di Capodimonte
Avete presente il mondo meraviglioso ed avvolgente del Cafè Chantant? Le luci, i lustrini, le piume e le paillettes colorate e luccicanti che abbagliano gli occhi? Bene, per molti spettatori quegli “sbrilluccichii” sono spesso vuoti e senza scopo, finalizzati al solo gettare fumo negli occhi che alla lettera sta a significare uno spettacolo bello da vedere, coinvolgente e sensuale, ma i cui protagonisti, o meglio le cui protagoniste, sono donne fatali e un po’ libertine, da amori facili e di poco valore. Tutti, ma proprio tutti, ad eccezione delle altre donne che la conoscevano e che erano in un modo o nell’altro sue amiche, consideravano Liliana Castagnola, “la Diva”, una semplice sciantosa di poco conto, una che non poteva forse nemmeno provare sentimenti sinceri o attaccamenti e legami verso nessuno, perché non aveva dignità, non aveva emozioni profonde e quindi non aveva la fortuna di poter scegliere per se stessa, di poter essere libera. Tratto da una vera storia, ricostruita fedelmente attraverso lettere e cronache del tempo, all’epoca del Fascismo, lo spettacolo Diva debutta durante la stagione 2021 del Campania Teatro Festival ed irrompe prorompente, con una forza espressiva notevole ed un significato toccante che fa riflettere, in un scenario magico come quello della Reggia di Capodimonte, come di consueto all’aperto. E pensare che ancora oggi, come allora e come forse sempre nella Storia, le donne non possono vantare di avere gli stessi diritti e la stessa considerazione rispetto agli uomini, non soltanto in società meno evolute o culturalmente meno avanzate, ma purtroppo anche nella civiltà occidentale in cui in determinati ambiti di lavoro, di occupazione e mansioni, addirittura in alcune famiglie, ci sono ancora pregiudizi, differenze, minore valorizzazione. Nello spettacolo a un certo punto viene detto: «Alla fine è sempre colpa delle donne». Siamo negli anni Trenta, ma siamo sicuri che oggi sia poi così cambiata questa frase? In effetti no: una violenza è colpa di come la donna era vestita o di chi ha scelto come compagno, chi non sa guidare è sempre donna, chi resta a casa e bada ai figli è ancora troppo spesso la donna, i posti di lavoro non sempre sono aperti alle donne. Per non parlare delle attrici e delle donne di spettacolo: la televisione, il cinema, il teatro sono ancora oggi mezzi per considerare le figure femminili come quelle disposte a tutto per apparire, quelle alle quali si può fare di tutto, con cui ci si può divertire. Ancora troppo spesso permettiamo che la donna sia un oggetto e non una persona, che la libertà sia scambiata per superficialità, che la carriera non possa per le donne accompagnarsi ad una figura di madre o di moglie. Un amore vero, sincero, il primo, finalmente, in cui la diva Liliana Castagnola aveva potuto scegliere per se stessa, dando voce e luce ai propri sentimenti, quello per l’allora giovane ed emergente comico Totò, la porterà in realtà al suicidio, alla morte più romantica, ma anche più dolorosa e triste che ci sia. Lo diceva anche Pirandello: ognuno di noi indossa una maschera diversa a seconda delle persone che ha di fronte e dell’ambiente in cui si trova; ognuno ha poi però dei tipi fissi che impersona, quasi come quei caratteristi che venivano poi alla fine identificati con i loro stessi personaggi: e Liliana è stata così, una maschera indossata agli occhi degli altri per nascondere quella sofferenza e quel dolore che nessuno ha mai capito, che nessuno ha mai curato. L’unico uomo che pare essere dalla sua parte è il maresciallo che indaga fino in fondo, nonostante il Regime ed oltre il pregiudizio, sulla sua vera persona, sulla sua vera storia, sulla sua vera fine. Simpaticissima la proprietaria della pensione degli artisti “Ida Rosa” in via Sedile di Porto, dove la diva amava soggiornare in città, impersonata da un attore e non da un’attrice, ma l’unica a porre l’accento sul significato della parola scandalosa: era scandalosa Liliana per il suo lavoro oppure era stato scandaloso chi l’aveva in passato costretta a sposare un uomo che non amava, chi aveva provato a usarle violenza e chi la privava della considerazione che meritava in quanto persona? Ultima, doverosa precisazione: è interessante osservare come per la prima volta forse, un attore così importante e sentito, a Napoli, ma non solo, come Totò, sia qui narrato un po’ sullo sfondo, come attore emergente e giovanissimo all’epoca, ma anche come base portante che alla fine conserverà per sempre un forte senso di colpa che proverà anche lui a mascherare, stavolta, al contrario di Liliana, con il volto del comico sorridente.
Francesca Myriam Chiatto