di Eduardo De Filippo
regia: Geppy Gleijeses
scene: Paolo Calafiore, costumi: Gabriella Campagna, luci: Luigi Ascione
musiche: Matteo D'Amico
con Geppy Gleijeses, Gennaro Cannavacciuolo, Lorenzo Gleijeses, Gigi De Luca
Roma, Teatro Quirino, dal 24 marzo al 9 aprile 2009
Messina, Teatro Vittorio Emanuele, dal 21 al 25 aprile 2010
Gigi Giacobbe
Ditegli sempre di sì di Eduardo De Filippo É l' assurdo che domina nella messa in scena di Geppy Gleijeses dell' esilarante e caustica commedia di Eduardo De Filippo Ditegli sempre di sì. Non l' «assurdo» nel senso ioneschiano del deprezzamento del linguaggio, dell' azzeramento e derisione della parola, ma all' opposto dell' eccesso di significato e dell' univocità di senso. Così tra gli scorci di un mondo capovolto, le scene sono di Paolo Calafiore, il «pazzo» Michele Murri, interpretato dallo stesso Gleijeses, è ostinatamente attaccato alla parola che è quello che significa e null' altro, se uno dice «sono morto» gli manda un biglietto di condoglianze: per lui non esistono metafore, modi di dire, tutto è verità, rappresentazione di quella realtà che gli sfugge e alla quale si aggrappa con la forza di un' ostinata logica. E questo senso d' assurdo angoscioso, di meccanicità di pensiero figlia di un dolore di vivere è ben reso dall' ottimo Geppy Gleijeses con una recitazione intelligente che ha il ritmo ossessivo e al tempo stesso sincopato dello «sragionatore» ragionante, del «diverso», e come tale pericoloso, a cui dire sempre di sì. Un' interpretazione matura e raffinata. Col ritorno dal manicomio di Michele a casa dalla sorella Teresina, che il bravissimo Gennaro Cannavacciuolo interpreta «en travesti» dandole un sapore di straniata, dolente verità e convalidando l' aria di «diversità» che aleggia in famiglia, la follia di controllo della logica e dell' oggettività della parola di Michele condurranno a equivoci divertenti e amari coinvolgendo parenti e conoscenti come il giovane poeta squattrinato ben interpretato con stralunata stravaganza da Lorenzo Gleijeses. Una compagnia ben amalgamata di bravi attori per dar vita ad uno spettacolo dove, come quasi sempre in Eduardo, la comicità nasconde la miseria umana per la quale si ride, è vero, ma si prova anche una sincera pietà.
Magda Poli
per Gleijeses padre e figlio
Strana commedia questo Ditegli sempre di sé, tra le primissime di Eduardo: in parte farsa smaccata, in parte apologo già parapirandelliano (1927!) sull'identità. Il protagonista, recentemente dimesso dal manicomio, sembra normale ma in realtà è rimasto pazzo, e la sua follia consiste nel prendere di petto la lingua senza concessioni per le sfumature - un amico gli dice "sono morto", e lui ne annuncia il decesso provocando condoglianze e corone di fiori ma anche il risanamento di un vecchio contrasto tra costui e un suo fratello.
Il principale comprimario è invece un pazzo per posa, poetastro e attore dilettante chiassosamente esibizionista. Non c'è storia, solo due lunghi atti di equivoci incrociati, la comicità venendo prodotta dall'imperturbabilità maniacale del pazzo vero e dai lazzi del pazzo finto. Il finale però è inquietante, anche se Eduardo dopo averlo scritto lo esorcizzava in burletta: il pazzo vero tenta di tagliare la testa a quello finto, per "guarirlo", e una volta smascherato si rassegna a farsi rinchiudere definitivamente.
Su questa cupa conclusione la regia di Geppy Gleijeses non fa sconti: Michele Murri (Gleijeses stesso) rinuncia molto a malincuore a decapitare Luigi Strada (Lorenzo Gleijeses), che il sipario chiudendosi lascia raccapricciantemente appeso a testa in giù. Per il resto, felice allestimento con un ricco cast di ben quattordici esperti del genere, tra cui spiccano, oltre a Gleijeses padre, britannicamente composto, e figlio, scatenato in virtuosismi assai applauditi, le consumate volpi Gigi De Luca e Gianni Cannavacciuolo, quest'ultimo "en travesti".
Masolino d'Amico
Lo scorso anno, a giugno, ha debuttato al Festival di Napoli. Ora è al Quirino di Roma, dove replica fino al 9 aprile. Ditegli sempre di si è spettacolo sicuro. Scritto da Eduardo De Filippo nel 1927, esalta oggi la duttilità di un interprete (qui protagonista e anche regista) quale Geppy Gleijeses, che fa della poetica eduardiana una propria bandiera, fra culto del surreal-grottesco e pratica della buona recitazione. Due atti, una storia credibile e incredibile al tempo stesso, pensata per Vincenzo Scarpetta e dipanata, nell'amarezza di fondoche la motiva, in un clima da grand pochade memore del frizzante palcoscenico alla francese al quale si dedicò, appunto, il padre dei De Filippo.
Con Gennaro Cannavacciuolo en travesti, Lorenzo Gleijeses e la partecipazione di Gigi De Luca. La trama: Michele Murri è stato rivocerato in manicomio, ne esce e appare normale. Si distingue dagli altri esseri umani per una caratteristica: prende tutto sul serio, le utopie della sorella zitella che sogna di sposare il vicino di casa, ad esempio, tanto da affrettarsi a comunicare a tutti le nozze impossibili, oppure la paradossale affermazione di un amico cui piace affermare di non volersi riappacificare con il proprio fratello se non dopo la di lui morte, eccetera. I qui pro quo si accavallano l'uno sull'altro; le scenette comiche sprizzano humour, satira e disamina sociale ben masticata. E quando il corteggiatore della figlia minaccia di fare sul serio, lo ritiene folle, e medita di tagliargli la testa in quanto sede della pazzia. Come giudicare questo Michele troppo ligio alla coerenza? Un malato cui comminare nuovamente il manicomio o un pericoloso saggio da non lasciare in libertà?
Rita Sala