testo e regia di Emanuele Aldrovandi
con Giusto Cucchiarini, Eleonora Giovanardi, Luca Mammoli, Silvia Valsesia, Riccardo Vicardi
scene Francesco Fassone; costumi Costanza Maramotti
maschera Alessandra Faienza; luci Luca Serafini
consulenza progetto sonoro GUP Alcar
musiche Riccardo Tesorini
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Associazione Teatrale Autori Vivi, in collaborazione
con La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna
al Teatro Filodrammatici, Piacenza, 10 ottobre 2022, festival L’altra scena
Una sorta di cortile, il colore dominante è il grigio, quattro personaggi: due uomini e due donne, un rider e una pandemia in corso che trasforma chi piglia il virus in tacchini: sono questi gli estremi de L’estinzione della razza umana di Emanuele Aldrovandi che firma anche la regia dell’allestimento. La recente esperienza pandemica è presa di petto dalla scrittura chirurgica di Aldrovandi e riesce, laddove molti spettacoli falliscono: ovvero a imprigionare la cronaca in un testo che sa essere assoluto, tagliente, mimetico e al tempo stesso straniante. È questa la strana sensazione che regala L’estinzione della razza umana: un testo, in primis, e uno spettacolo secco e diretto che apparentemente nulla aggiungono a quello che già sappiamo. Il virus trasforma in tacchini chi viene contagiato e basta questo tocco ironico e le penne che escono dai jeans del rider per creare una divertita distanza, uno sguardo ironico che fa da argine al fiume di parole pronunciate in quel cortile che assomiglia a una sorta di carcere, in cui si misurano non solo due coppie, ma quattro punti di vista. C’è il cinico esperto di marketing che vuole uscire a correre, fregandosene delle limitazioni, c’è quello che disinfetta tutto, ci sono le rispettive mogli: una incinta e l’altra che ha fatto del non fare figli un principio di vita. E qui sta la maestria del testo e dell’autore: Aldrovandi calibra con precisione i punti di vista, li mette in contrasto, fa scoppiare i conflitti fra le coppie e all’interno di esse in un tutti contro tutti con terreno comune la pandemia che ha sconvolto certezze e abitudini, cambiando l’orizzonte di ciascuno. Ciò che si dice in scena, le posizioni che i singoli prendono rispetto alla crisi pandemica sono note, ma l’abilità de L’estinzione della razza umana è quella di assolutilizzarle, di farne quattro parti di un tutto e quel tutto è il pubblico in platea che si ritrova a riconoscersi nei vari punti di vista, nel ripercorrere idee e riflessioni maturate nei momenti più duri del lockdown. La regia al servizio della drammaturgia – e non potrebbe essere altrimenti – è mimetica rispetto alla narrazione e con precisione, senza sbavature chiede agli attori di non avere sfumature, di essere precisi e ficcanti. Tutto questo funziona, diverte, ci permette di guardare da fuori ciò che abbiamo passato e, al tempo stesso, di riconoscerci: non una cosa da poco per uno spettacolo teatrale. Applausi, meritati applausi.
Nicola Arrigoni