testo e regia di Emanuele Aldrovandi
con Bruna Rossi e Giorgia Senesi,
scene e grafiche CMP design,
costumi di Costanza Maramotti, luci di Vincent Longuemare, suoni di Riccardo Caspani,
produzione Associazione Teatrale Autori Vivi/Emanuele Aldrovandi, Teatro Elfo Puccini, ERT,
al teatro dei Filodrammatici, Piacenza, 11 ottobre 2021
Due sorelle, una bionda (Bruna Rossi) e l’altra mora (Giorgia Senesi), una scena disegnata dalle luci e dal colore rosso, un gioco e due solitudini e un’unica voglia di riscatto: questo è Farfalle di Emanuele Aldrovandi. Le due protagoniste – costrette a vivere e crescere da sole, abbandonate dal padre – condividono un gioco crudele: si passano l’un l’altra un fermacapelli a forma di farfalla e in ogni passaggio c’è la richiesta di fare qualcosa, qualcosa di assoluto, di crudele, di impossibile, pena l’esclusione dal gioco. Si tratta di una messa alla prova dell’una e dell’altra, di una continua verifica dell’amore reciproco, di un legame in cui vittima e carnefice sono un’unica cosa, come il legame fra le due sorelle. Storie di sogni infranti, di esistenze segnate da quel padre che impone loro di sposare uomini più grandi per estinguere un debito … Ciò che accade, ciò che Aldrovandi mette in scena e ciò che fanno e dicono Bruna Rossi e Gorgia Senesi vivono di una forte e immediata secchezza, un’assolutezza nei toni e nel racconto che non fa sconti e fa dire allo spettatore: «vediamo fino a che punto arriva il gioco, fino dove si spinge la storia, ma anche l’autore». È questo aspetto del gioco che lascia il segno, un gioco che l’autore viventissimo e molto presente a sé stesso non nasconde ed esprime fino in fondo, in un distacco narrativo e un teorema di parole che rendono le due donne tasselli di un gioco agito sulla scacchiera della crudeltà. In quel loro sfidarsi, nel chiedere di negare ciò che hanno costruito o subìto per ribadire ogni volta il legame di sorelle c’è una tensione che non è solo narrativa, ma che diventa drammaturgica, è un mettere alla prova la scrittura, il crearsi spontaneo, ma sotto controllo, del personaggio che fuoriesce dalla penna del drammaturgo. Questo aspetto si fa potente nella scelta registica di non disperdere nei personaggi della pièce la presenza scenica attoriale, ma di concentrare tutto nel corpo e nella voce delle due interpreti che sono anime che ritornano, non morte e non vive, presenze, fantasmi o tentativi di esistenze. Le suggestioni pirandelliane restano suggestioni, la visitazione dei personaggi pure, la disponibilità di autore e interpreti a farsi percorrere e attraversare dalle parole è un tutt’uno che fa di Farfalle un bel gioco, volto non solo a frequentare le estreme conseguenze del rapporto fra sorelle, ma anche quelle della tenuta del linguaggio, della parola che fa corpo, che costruisce storie in un flusso continuo che sembra dominare autore e attrici. Tutto ciò accade proprio nella consapevolezza di un esercizio di stile che non cerca di essere credibile, ma semplicemente di proporsi come gioco intellettuale al di là del bene e del male.
Nicola Arrigoni