da Sofocle
con Daniele Nuccetelli
parole di Fabrizio Sinisi e Daniele Nuccetelli
consulenza clinica Laura Bonanni
spazio scenico Filippo Sarcinelli, costumi Giuseppe Avallone ed Elena Cotugno
ideazione e regia Gianpiero Borgia
produzione Centro Teatrale Bresciano e Teatro dei Borgia
Istituto Razzetti, Brescia, 7 ottobre 2023
Si esce e viene da dire: questo è teatro, un concentrato di verità che scuote l’anima. Questo accade con Filottete dimenticato, questo accade – verrebbe voglia di dire – col Teatro dei Borgia, con quel realismo sporco e liricissimo che Giampiero Borgia sa mettere in quella Città dei miti che siamo chiamati ad abitare con inquietudine e un senso di struggimento che toglie il respiro. Un divano, la tv accesa, una boccia con un pesce rosso e l’ingresso di quell’uomo di mezza età, cui trema la mano e che ci chiede di uscire, di portarlo a casa, di farlo ripartire per la sua casa. Daniele Nuccetelli è Filottete, abbandonato sull’isola di Lemno da Ulisse e dagli altri capi achei, perché morso da un serpente e con la gamba maleodorante. Dieci anni dopo da lui i greci devono far ritorno per avere l’arco e le frecce di Eracle, senza le quali non avrebbero vinto la guerra di Troia. Filottete dimenticato è un vecchio attore, non troppo vecchio per la verità, abbandonato in Rsa dopo improvvisi svenimenti e perdita di memoria. Ciò che mette in scena Filottete dimenticato di Fabrizio Sinisi e dello stesso Nuccetelli è la sofferenza dei tanti anziani ‘parcheggiati’ nelle Rsa, uomini in attesa di far ritorno a casa e che raccontano la loro storia, si aggrappano ai ricordi per non scomparire a loro stessi. Daniele Nuccetelli è potente e vero, quella mano che trema, che batte il tempo come molto spesso fanno gli anziani rimane impressa. Non c’è sterile mimetismo, non c’è lo scimmiottare la realtà: nel corpo, nella voce, nello stare di Nuccetelli c’è la persona prima che il personaggio, l’attore è credibile in ogni gesto, in ogni respiro, misurato, preciso, senza una sbavatura. Quell’abito che sa di festa, quell’abito con cui si appresta ad uscire a far ritorno a casa è vissuto, è reale, vero, come il modo di porsi di questo vecchio attore che ha recitato Filottete, prima del crollo, prima di quel buio della mente e che ora ricorda, ricoverato dal figlio che poi l’ha dimenticato lì, in attesa di chissà chi, di un ritorno impossibile. E allora ci stringe il cuore la richiesta: «Portatemi via, dai. Usciamo, andiamo a bere un aperitivo», dice Filottete agli spettatori e quasi quasi verrebbe voglia di portarlo fuori, di accondiscendere alla richiesta. Il mito raccontato nella tragedia di Sofocle c’è tutto, c’è la potenza delle parole, ma ancora più la forza della verità con cui le parole sono dette, il mito è trasfigurato dalla drammaturgia di Sinisi/Nuccetelli, dall’osservazione scrupolosa di chi vive in Rsa e quell’osservazione poi trasposta con poetico realismo e lisrismo in scena. Si rimane senza parole alla fine, ci si sente in colpa per non aver riportato a casa Filottete e l’applauso è un abbraccio in cerca di perdono. Il ritorno a casa di noi spettatori è carico di senso di colpa, perché di Filottete ci sono pieni gli ospedali e le case di cure e noi facciamo finta di niente. Questo è teatro, un pungolo alla coscienza, questo è il teatro: uno scomodo sollevare il velo sulle verità che non vogliamo vedere. Nicola Arrigoni