di Tullio Kezich
da Il Bell'Antonio di Vitaliano Brancati
Interpreti: Miko Magistro, Olivia Spigarelli, Massimo Giustolisi,
Riccardo Maria Tarci, Raffaella Bella, Eleonora Sicurella,
Camillo Mascolino, Irene Tetto, Carlo Ferreri, Giada Caponetti
Scene e costumi: Riccardo Perricone
Musiche: Germano Mazzocchetti
Luci: Sergio Noè
Regia: Federico Magnano San Lio
Produz.: Teatro della città- Catania
al Brancati di Catania dal 19 aprile al 6 maggio 2018
Il termine gallismo (derivato da gallo), è stato coniato da Vitaliano Brancati per designare satiricamente la vanità erotica degli uomini in genere e dei siciliani in particolare, quel loro sentirsi, e vantarsi, «bravi nelle faccende d'amore», da essere inserito nei nostri dizionari italici a partire al 1946, un anno dopo la caduta del fascismo, regime che inorgogliva i suoi seguaci, virgulti di case chiuse e/o conquistatori da strapazzo dai corpi cavernosi pieni e dal cervello vuoto. Su questo assunto Tullio Kezich, di cui leggevo le sue approfondite critiche di cinema sul Corriere della Sera, trae dal Bell'Antonio di Brancati una pièce teatrale in due tempi, titolandola Il gallo, spostando il baricentro dell'attenzione non più sul giovane protagonista del titolo, ma su suo padre Alfio Magnano, una vera faina di cuori femminili, che Miko Magistro facendosi prendere un po' la mano dalla vigoria erotica del personaggio, ne fa un Don Giovanni in pensione esaltandone più i lati caricaturali che quelli drammatici, senza che la regia di Federico San Lio, al Brancati di Catania, possa farci niente per fargli cambiare direzione. Per il resto lo spettacolo è ben orchestrato, ambientato in piena epoca fascista in una Catania che sembra Roma (scena di Riccardo Perricone, suoi pure i costumi) per via dei monumentali archi simili a quelli del Palazzo della Civiltà Italiana o del Lavoro che si trova nel moderno quartiere dell'EUR. Con la piccola differenza che fra quelle strutture arcuate spicca un balconcino, che sembra una verruca su un bel viso, dove è solito affacciarsi l'avvocato Ardizzone (Camillo Mascolino) in camicia nera e braccio all'insù che spettegola o sbraita insieme alla figlia Elena di Irene Tetto. Quest'ultima innamorata, come tutte le donne, di Antonio, del bell'Antonio di Massimo Giustolisi, invero un po' impacciato, un po' legnoso, molto invidiato dagli amici per la sua bellezza fisica, verso il quale il padre Alfio ha una devozione smisurata sbandierata ai quattro venti, glorificando le sue performance sessuali con le femmine del bel mondo romano e catanese, ponendolo su un piedistallo perché vede in lui se stesso, il suo continuum di tombeur de femme irresistibile. Soltanto alla madre Rosaria (Olivia Spigarelli) il bell'Antonio riuscirà a confessare la sua fragilità sessuale. Il momento cruciale per il padre sarà scoprire l'impotenza del suo erede dopo aver sposato Barbara (Eleonora Sicurella), figlia del notaio Puglisi, interpretato con la solita bravura da Riccardo Maria Turci e della moglie Agatina di Raffaella Bella che, anche lei affascinata dal genero, cercherà di svegliare i suoi sensi sopiti. Un'impotentia coeundi che dura da ben tre anni, con Barbara che è rimasta illibata e che la famiglia del notaio non può accettare, cercando di annullare attraverso la Sacra Rota e gli interventi di Padre Raffaele (Carlo Ferreri) il vincolo matrimoniale. Per Alfio Magnano è come subire, lui già affetto da angina pectoris, un'infamia incancellabile che potrà essere sanata solo con la dimostrazione della sua innata virilità, al punto da condurlo in un luogo malfamato e giacere con una prostituta di sua conoscenza, la Mariuccia di Giada Caponetti e rimanere stecchito sul suo corpo mentre su Catania imperversavano i bombardamenti.
Gigi Giacobbe