martedì, 05 novembre, 2024
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GRAMSCI GAY - regia Matteo Gatta

Mauro Lamantia in “Gramsci Gay”, regia Matteo Gatta. Foto Angelo Maggio Mauro Lamantia in “Gramsci Gay”, regia Matteo Gatta. Foto Angelo Maggio

interpretato da Mauro Lamantia
Drammaturgia di Iacopo Gardelli
Tecnica e voce di Mattia Sartoni 
Costumi e scene di Gaia Crespi
Regia di Matteo Gatta
Una produzione Studio Doiz e Accademia Perduta / Romagna Teatri
Visto al Festival Primavera dei Teatri di Castrovillari, il 30 maggio 2024

www.Sipario.it, 9 giugno 2024

Indimenticabile “Gramsci gay”, magnifico testo, ottima regia, straordinario Mauro Lamantia
A Castrovillari dolorosi fallimenti della Storia tra due atti: in mezzo un secolo
Primavera dei Teatri: tra Gramsci e Nino, domande che rimbalzano dall’uno all’altro

Trascorre circa un secolo tra le due parti dell’indimenticabile “Gramsci Gay”, spettacolo di assoluta perfezione per recitazione, testo, regia, forza coinvolgente per energia del pensiero ed emozioni, visto a Castrovillari, per Primavera dei Teatri, tra i festival sempre più densi e ricchi di stimoli: se nella prima parte l’ottimo Mauro Lamantia è lo stesso Gramsci che, non ancora trentenne, parla al pubblico come fosse in un’assemblea di fabbrica, 1920, all’indomani del fallimento di un vasto sciopero che aveva coinvolto anche i contadini, nella seconda parte, trascorso un brevissimo intervallo, Lamantia  è Antonio / Nino Russo, qualche anno più di venti, non di molto più giovane del Gramsci di poco prima, pieno di rabbia, il linguaggio scurrile, le frasi spezzate. 
E’ Nino ad aver imbrattato con la scritta “Gay” la fronte di Gramsci sul grande murale del carcere di Turi, in Puglia, dove il grande studioso, letterato, filosofo e uomo politico, incarcerato dal fascismo, aveva iniziato a scrivere i “Quaderni del carcere”, da cui sono tratte gran parte delle riflessioni esposte sul palcoscenico. L’episodio è accaduto realmente, 2019. Già: un secolo. Dense, ampie sono le considerazioni gramsciane dove l’io, l’individuo, s’intreccia con le più varie problematiche sociali, di interpretazione storica, di prospettive, mentre vanamente inquiete, prive di speranze, sono le parole di Nino, che era sì andato a lavorare a Milano, ma poi, finito il contratto di prova, era stato licenziato: “non ci sto dentro, compa’, non ti posso tenere, e sai chi hanno preso? Un negro. Dopo sei mesi, io fuori e il negro dentro”. 
Non ci sono naturalmente giudizi sulla persona, quanto sulla Storia. Fallito il progetto di un mondo più giusto, capace di dare forma a una realtà che non tenesse conto solo del profitto, resta, tra gli esiti disastrosi, anche la permanenza di un sottoproletariato carico d’infelicità, senza fiducia verso se stessi e i politici, incolto, inquieto, impossibile crearsi un’identità attraverso il lavoro. “Gay” è un insulto generico, Nino non ha idea di chi sia Gramsci: ma certo doveva essere importante se gli hanno fatto quel ritratto. Motivo sufficiente per imbrattarlo. Un’azione nata dalla noia, dal malessere, dall’infelicità, non da motivi politici come si era immaginato in un primo tempo. “Qua non c’ha un cazzo da fare nessuno, tutti fermi al bar - così a un ragazzo più giovane di lui - …e fattele le canne. Ma ascolta me, vai fuori, vedi altre cose, studia compa’. Studia”.
Un’intuizione da parte di chi, per sé, si è già arreso, solo giorni vuoti di sopravvivenza. Poco prima - ma: cent’anni! - Gramsci proponeva domande che sentiva di tutti: “Come è stato possibile? Dove abbiamo sbagliato?” Lamantia è in abito chiaro appena un po’ troppo ampio, i capelli arruffati, gli occhialini con il solo cerchio metallico: il linguaggio è nitido, carico di fervore, parla in forma scandita e nello stesso tempo appassionata, le mani a tratti nervose. “Occorre guardare ai fatti con occhi acuti e implacabili. Non possiamo perdonarci nulla”. Sulla scena solo alcune sedie, che nello spazio tra i due “atti” verranno accatastate in disordine. Il racconto dei pestaggi, degli arresti degli scioperanti: “come potevamo noi resistere?…Pur sognando un’altra umanità, rimaniamo uomini”.
Il possibile non era stato abbastanza. Ancora lontano quell’”ordine nuovo, ovvero una nuova civiltà che non sia basata sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sulla schiavitù dei poveri, sull’avidità dei capitalisti”. Assente la sinistra italiana. L’analisi avanza, brillante, nitida, con un potere quasi ipnotico nato dalla forza di convinzione. Nino risponde svogliato alle domande, la voce dell’agente dalla regia. Non gli sembra di aver fatto una cosa grave: è pieno di ragazzini “che sminchiano i muri”. Se Gramsci è un politico, gli avrebbe telefonato, chiesto scusa. “Uno di meno”, dice, quando sa che è morto. Anche Gramellini ha delle domande da fare. Quello sul muro il fondatore del Partito comunista? Nino non è interessato a questi o quelli: “non ho mai votato, non so manco come si fa, non ci infiliamo in questo discorso…”
Frammenti di vita personale sia con Gramsci che con Nino. Alla fine la scritta verrà cancellata: il ragazzo potrà tornare a casa. Dalla mamma, che si dichiara “delusa”, lei che aspetta ancora, dopo dieci anni dall’abbandono, quel marito che la picchiava abitualmente…”Se vogliamo uscire dal fosso e buttare via il rospo dal cuore - aveva detto poco prima Gramsci (già: un secolo) - dobbiamo alzarci con le nostre sole forze. Farci intellettuali per fare la rivoluzione…Istruirci, agitarci, organizzarci…”. Sì; indimenticabile questo “Gramsci gay”, a cui si augura di poter circuitare a lungo, un incontro di rara bellezza, intelligenza, sensibilità, attore strepitoso, dalle infinite sfumature, Mauro Lamantia.

Valeria Ottolenghi

Ultima modifica il Mercoledì, 12 Giugno 2024 08:54

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