di Anton Cechov
con Manuela Kustermann, Astra Land, Sara Borsarelli, Paolo Lorimer, Giuseppe Antignani, Sandro Palmieri, Massimo Fedele, Felice Leveratto
scene e costumi: Giancarlo Nanni, Francesco Linchi, Sara Bianchi
luci: Valerio Geroldi
regia: Giancarlo Nanni
Roma, Teatro Vascello, dal 22 marzo al 27 aprile 2007
Più cechoviano di così
Angelo Maria Ripellino ricorda le innumerevoli gag che costellano «Il giardino dei ciliegi»: «La cameriera Dunjasa sta per svenire all' arrivo della padrona; Epichodov lascia cadere di mano un mazzo di fiori e, inciampando, rovescia una sedia; Dunjasa, abbracciata da Jasa, fa scivolare un piattino; Piscik inghiotte
d' un fiato le pillole della Ranevskaja e tracanna bicchieri d' acqua; Epichodov rompe una stecca del biliardo; Trofimov ruzzola dalle scale e non trova più le calosce; Varja, prendendo di mira Epichodov, dà un colpo di bastone sul capo del trionfatore Lopachin; Lopachin, orgoglioso d' aver acquistato il giardino, urta un tavolinetto e per poco non ribalta dei candelabri». Forse, nel «Giardino dei ciliegi» di Giancarlo Nanni, in scena al Vascello, queste gag non vi sono tutte, o io non le ho colte. Ma, pienamente, ve ne è l' atmosfera. Quando si parla, di Cechov in quanto autore di vaudeville, è perché si vuole scantonare da questa delicatezza. Il vaudeville di Cechov non sono che le distrazioni dei suoi personaggi, la loro sbadatezza, la loro stessa tristezza. O, come nel caso del «Giardino», la loro nostalgia. Può darsi che tristezza si accompagni a nostalgia, ma non è obbligatorio. Non sempre esse vanno insieme, a volte nostalgia si presenta con un viso rubicondo; a volte, addirittura, con allegria. Comunque, è questa la nota prevalente dello spettacolo di Nanni, un Cechov cechoviano, che più cechoviano di così si muore. Lo dico, del resto, con ammirazione. C' è molto più Cechov nel «Giardino» di Nanni che, per citare il più recente che si sia visto a Roma, nel «Gabbiano» di Konchalovsky, dove la gag slittava nella grossolanità. Nel «Giardino» vi è levità, vi è umorismo, vi è ritmo, quel ritmo maestoso da adagio musicale, dove le pause contano quanto i momenti di accelerazione, che sono poi i momenti della vita normale. Nanni, nella scansione di questo ritmo, fa addirittura impressione. Si comincia a pensare che l' ex regista d' avanguardia è ormai un uomo pieno di nostalgia, la nostalgia più cocente non è quella dei suoi personaggi, è invece la sua: nel foyer del Vascello c' è Marx («Marx a Roma») e qui niente meno che Cechov, un Cechov, lo ripeto, dettato al cento per cento e al quale fanno corona e danno vita, in modo tanto umile quanto esemplare, tutti gli interpreti, da quelli storici di Nanni a quelli nuovi. Mi commuove Massimo Fedele, quando esibisce una goffagine che non è sua; ma anche Paolo Lorimer, quando si fa spavaldo, l' uomo di casa, colui che prende in mano le redini di un cavallo imbizzarrito. Manuela Kustermann, va da sé, traversa con grazia la scena (è Ljuba); e sono perfetti Sandro Palmieri, come futuro eroe sovietico, e Giuseppe Antignani, come un Lopachin orgoglioso ma in fondo timido, afflitto d' aver recato il colpo mortale. Felice Leveratto è Firs, Gaia Benassi è Dundjasa, Tatiana Winteler è Charlotte, Astra Lanz e Sara Borsarelli le due figlie. «IL GIARDINO DEI CILIEGI» di Cechov, regia di Giancarlo Nanno. Al teatro Vascello, fino al 27 aprile.
Franco Cordelli